Torno su Francesco Renga, ad un anno dalla pubblicazione del suo omonimo esordio, con la stessa voglia di ritrovarlo che avevo dopo l'addio all'esperienza Timoria.
Troppo tempo era passato da "Senzatempo" e troppo ne è passato dall'ultimo e unico disco, un silenzio che ha creato una leggera ansia in chi come me si è lasciato trasportare da una delle voci più profondamente belle del nostro patrimonio musicale. Non sono bastati i Timoria da soli a colmare questo vuoto, anche se impegnati a seguire l'affascinante viaggio di Joe, nè era bastato appunto il tentativo solista dello stesso Francesco.
È di questi giorni l'uscita del singolo presentato a Sanremo e la ristampa dell'album completo di altre due nuove canzoni ("Raccontami", appunto, proveniente dal Festival, "L'ultima poesia" e "Impressioni di settembre").
Sorge legittima e spontanea la domanda sul valore e la novità dell'operazione: che cosa aggiungono questi tre brani ad un disco che già di per sè era corposo e intenso?
Al di là di ogni tentativo di assecondare la platea dell'Ariston e della tv (sostituite le chitarre di Barbacci e di Cottafavi, spazio agli arrangiamenti d'archi, via libera all'orchestra e alla melodia), le nuove canzoni presentano essenzialmente la maturazione del nostro come scrittore.
Se "Anche per te", "Rimani qui", "Mr. rockstar" non avevano convinto del tutto e venivano salvate dalle vibranti impennate dell'ugola di Francesco, non possiamo ora che goderci l'indipendenza di composizioni lavorate a fondo.
Senza dubbio la voce rimane lo strumento principale di Francesco (e chi non si emoziona quando la lascia libera di distendersi, di alzarsi e di piegarsi nelle sue ormai inconfondibili flessioni?), ma "Raccontami" e "L'ultima poesia" si sviluppano soprattutto come delle piccole storie capaci di toccare a fondo l'ascoltatore.
Un discorso a parte merita "Impressioni di settembre", scritta da Mogol / Pagani / Mussida: la canzone è eseguita da un piano scarno (Flavio Premoli, PFM) e dal cantato di Francesco che risulta ancora più toccante tra le pause del pianoforte. Un po' stucchevole la seconda metà del testo, ma si è ancora pervasi da troppi brividi per ricordarsi di criticare Mogol.
Se il disco un anno fa aveva destato una buona impressione, nascondendo solo parzialmente la tendenza dei brani a piegarsi su se stessi, la presenza delle nuove canzoni fa ben sperare per il proseguio della carriera di Renga, libero ormai sia del proprio passato sia della fama della sua voce.
Forse queste faranno un po' storcere il naso ai fans del gruppo bresciano (anche se da entrambe le parti rimangono reminiscenze degli anni passati insieme) e non colmeranno ancora la nostalgia derivata dal naufragio della nave Timoria (dovrebbero?), ma si può solo gioire nel constatare come dalla tradizione italiana riescano ancora a crescere voci alte e creative.
Prima gli amici di un tempo e ora anche Francesco stanno dimostrando di essere in grado di riprendere senza esitazioni la strada di una propria qualità artistica.
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