Anansi, disco omonimo, esplicito; in copertina il disegno lascia nessuno spazio alle interpretazioni. Volente o nolente, i colori sono quelli della terra e della natura; le forme quelle delle ombre nella controluce dei tramonti ai caraibi. Sono i colori della musica reggae. Che poi il disco non è tutto reggae, è vero, e lo diciamo subito e diciamo anche che non è tutto rasta quello che è dreadlock, anche se in Jamaica non sarebbero proprio tutti d'accordo. Anansi è Stefano Bannò e insieme alla sua chitarra ha già una bella storia sulle spalle, nonostante i suoi ventun anni. Coraggioso, impaziente, un'incoscienza sana che possiede chi ha l'ambizione di cantare semplicemente, con la passione e con l'amore innanzi tutto. E poi con ogni tipo di strumento e strumentazione. Questo si sente, e gli viene veramente bene. Musica, canto e danza per raccontare con ingannevole leggerezza temi pesanti, profondi e importanti della vita, così grandi, sempre più vasti e sempre più scomodi. Lo scopo di gran parte della vita di Bob Marley; lui batte nel ritmo di ogni canzone reggae e Anansi ce l'ha dentro il jamming, quello che fa ballare i dreadlock cantando di religione, divinità e dei, politica, droga, amore, il prossimo.
Precoce saggezza e istintivo impegno sociale: "M.A.F.I.A.", che sta per Merciless Association of Fright and Iniquitous Acts, è la sua "Get up, stand up". Viaggiatore, esploratore o fuggitivo, registra buona parte di questo disco con i Ghost Town in Irlanda, mentre il calore e la serenità che emana è quello della Jamaica. Non solo per i brani reggae, quelli sono quasi perfetti, nella musicalità delle parole, nel suo modo d'interpretarle e perpetrarle come all'infinito. Il reggae non è roba da tutti: se anche il cuore non prende il ritmo, allora annoia a morte. Invece "Look straight ahead" teletrasporta sulle strade trafficate di Negril dove ti fermi per prelevare, il taxista nell'attesa apre la porta, alza la musica e ti ritrovi a ballare in mezzo a gente. E poi chi lo sa se preleverai. Quella vita esce da questo disco. Forse è davvero un po' magico. Come Anansi, il dio cui s'ispira, è capace di dare sensazioni che lui, leggendo la sua storia, pare non abbia mai provato.
In "Still" sembra cantare nella lingua originale dell'isola del reggae, tanto da assomigliare a un brano di un cd masterizzato comperato sulla spiaggia di Ocho Rios; "I don't fear" è lenta è calma, come il mare e il tempo laggiù. Bella, primitiva. Oltretutto lui è nato in Trentino, sui monti: è una specie di eletto! Cambia e si trasforma, lo scrive e lo canta, "still like a stone, moving like a cloud". All'improvviso infatti arriva lo swing, il funky, il pop. Il disco è completo, c'è tutto, anche "Don't say goodbye", il duetto romantico acustico. "You are my brother" è un bel manifesto, con l'armonica, sempre così dolce e divertente. Anansi, come il ragno, tesse la sua tela con precisione tecnica e dedizione; questo suo disco è soltanto il primo, brillante e prezioso giro di tessitura.
---
La recensione Anansi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-12-29 00:00:00
COMMENTI (3)
bravo stefano.
al prossimo concerto
we all gotta stand up for love and dance
grazie d'avermelo ricordato
seriously, thank u brother
go for it
Wow! Fantastico, questo disco è finito nella topit del 2009 prima ancora di avere ricevuto una recensione ufficiale sul sito! :?