Non c'è alcuna ragione al mondo per ascoltare i Carpet Beaters, a meno che non dobbiate scrivere una recensione. A meno che non vi piaccia il kitsch. A meno che non amiate gli arrangiamenti confusi, i dischi dalla durata eccessiva, i testi banali e una voce che ha la notevole capacità di riunire in se stessa le esperienze di Dan Black in versione isterica, del dimenticato Simone Cremonini dei Super B e del sempreverde Mirko dei Bee hive.
L'eccesso, la ricerca ossessiva dell'originalità, il citazionismo facile, i riferimenti filosofici e storici, si mescolano e si confondono non riuscendo a donare un'organicità di pensiero, quindi la domanda è: cosa vogliono dirci i Carpet Beaters? Cosa c'entrano Platone e Kennedy? Perchè si passa da Memphis? Spesso si sconfina nella noia, con assoli lunghissimi (vedi il brano d'apertura "Anima") e questo ostinato effetto sorpresa in coda a quasi tutti i pezzi: il brano sfuma, l'ascoltatore crede sia finito e invece no! Almeno un altro minuto di ingombrante assolo, soluzione che può divertite al primo pezzo, lasciarci indifferenti al secondo, irritare al terzo.
Gli arrangiamenti sono pienissimi, ai limiti del barocco, e l'uso eccessivo di effettistica di ogni genere rende difficile la fruibilità del brano e spesso, soprattutto sulla voce, sacrifica la comprensione delle parole. Insomma, nel volersi distinguere i Carpet beaters hanno creato solo una presunta denuncia del mondo confusa e lacunosa. Il kitsch e i barocchismi sono un'arte che l'ascolto ossessivo dei Muse non è bastato ad insegnare. Si esce storditi dall'ascolto dell'album e forse sarebbe meglio ripulirsi e giocare a togliere, piuttosto che ad aggiungere.
Dobbiamo sperare che i Carpet Beaters si rendano conto di essere le copie di un rock trito e ritrito, di certo non possono aspirare ad essere quelli che ci riporteranno fuori dalla caverna, alla scoperta della verità. Di buono c'è che Carpet Beaters è un nome fighissimo.
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