Ci dirigiamo verso il XXI secolo e non c'è alcun dubbio. Rimangono poche certezze nel mondo del rock, poche quelle certezze che la rivoluzione punk, paradossalmente, voleva riaffermare ridisegnando una nuova forma della stessa dimensione sonora. Oggi, con 20 anni in più sulle spalle, siamo consci di aver assistito ad una rivoluzione (musicale) forse sopravvalutata, e contemporaneamente siamo pronti a proclamarne un'altra, influenzati da fenomeni socio-culturali che non rimangono assolutamente fuori dal nostro discorso, pur se all'apparenza risulterebbe esattamente il contrario.
"CRX", il nuovo album dei Casino Royale, è la dimostrazione di come la contingenza, il valore del "possibile altrimenti" diventi attuale nell' evoluzione in campo musicale, intesa come ricerca di nuove strade. Questo lavoro non si distacca dalle esperienze intraprese dall' ensemble milanese poco prima della metà degli anni '90, quando con "Dianamaita" segnavano il distacco dallo ska e poi col successivo "Sempre più vicini" legittimavano la loro posizione rilevante nella produzione di suoni che tendevano all' elettronica o comunque alla contaminazione col dub e con certe sonorità fluide e al contempo molto dilatate, grazie anche all' opera di Ben Young, uno dei guru del sound bristoliano che ha forgiato anche la produzione di Almamegretta e Blindosbarra.
Questo "CRX" è un puzzle di parole e ritmo come "specchio" del 2000 (non a caso l'idea della copertina), ma non solo; è anche, nella sua complessità, un lavoro che partorisce atmosfere da "psichedelia futurista", in quanto il gruppo non si accontenta di suonare del secco drum 'n' bass, ma cerca di toccare gli orizzonti e di allargarsi, fondendo dub e soul in una miscela dagli ingredienti poco definibili.
Ai primi ascolti l' approccio è un po' ostico, soprattutto per chi non è abituato alla fluidità di un sound che ha avuto i suoi natali nell'autunno londinese: il singolo, dal quale prende il titolo l'album, è già molto più accessibile anche se i gioielli veri e propri sono altre tracce tipo "Ora solo io ora" e "The future" su tutte: la prima, in bilico tra il piano di Patrick e la calda voce di Giuliano "The King" Palma, è il punto d'incrocio della nuova anima dei Casino Royale, mentre la seconda si regge sulla pulsazioni di un basso che sembra scandire la quotidianità: "Ogni stop è solo un altro start".
Molto interessante è anche "Là dov' è la fine", un ricordo del massacro compiuto in Bosnia, riletto secondo i criteri delle differenze etniche come fattori provocanti distruzione, mentre "Homeboy", ricca di suoni sferraglianti, sembra suonata in un reparto di una catena di montaggio.
Nell' intero lavoro si percepisce, soprattutto a livello di testi, la effettiva tendenza del gruppo di denunciare un senso di disorientamento, tanto che la breve canzone "Benvenuto in mia casa" e ancor di più "Là sopra qualcuno ti ama" rendono a chiare lettere questo concetto, questa percezione di una società eterocentrica che non consente all' individuo di riaffermare la propria individualità senza ricorrere alla relativizzazione culturale e alla necessaria "riflessione" su se stesso per "specchiarsi" poi nelle altre culture.
Anche il sound risente di questa contaminazione, tanto che a volte viene da pensare all'ultimo lavoro degli A.F.A., "Nomade psichico", per la tendenza a ripercorrere la strada già tracciata ("In picchiata" e "Hi-fi" sono l'esempio lampante) dal gruppo emiliano, a tentare la commistione tra campionamenti, scratch e suoni che si orientano al drum 'n' bass di cui sopra.
"CRX" non è un lavoro di passaggio ma è invece una conferma come risultato di un'intensa ricerca tra Londra e Milano, un tentativo di (ri)mettere in discussione delle certezze acquisite nel corso di questi anni. Quanto quest' approccio sia oggi necessario non è facile capirlo, pur se è certo che i Casino Royale sono riusciti a dimostrare nuovamente che è fondamentale fare tesoro delle esperienze passate per coniugare il linguaggio delle macchine con il sentimento umano.
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