Mi sono chiesta cosa spinga qualcuno a prendere in mano la chitarra e comporre canzoni, e l'unica risposta che riesco a darmi è che alla base del lavoro del musicista ci sia un'urgenza comunicativa che trova pace solo quando viene esternata. In questo disco sembra manchi proprio la volontà di comunicare, mancano il nerbo e l'intensità che rendono gruppi come Marta sui tubi o Perturbazione capaci di creare pezzi da pugno nello stomaco. Manca l'espressione del male di vivere, della rabbia, della vita, della morte, dell'amore, di tutte quelle cose che bruciano. Certo, la musica non deve per forza scuotere, ma deve pur sempre toccare dei nervi. Verner cerca un equilibrio, una misura, non vuole mai strafare, ma proprio per questo rimane sul filo (sottile, tra l'altro) che separa la raffinatezza dalla noia. Ricerca una complessità che però all'ascolto svanisce, lasciando il discorso incompiuto e privandolo di senso. Non ci sono fuochi d'artificio nè piccoli colpi di genio che riescano a sollevare il disco dalla sua superficiale gradevolezza, scoprendone la sostanza. E alla fine rimane poco o niente di quello che, forse, Verner voleva dirci.
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