C'è una cosa che apprezzo più di tutte in una band: l'eclettismo, il saper passare da un genere all'altro con disinvoltura senza tradire la propria essenza di musicista e compositore.
Quando penso a band eclettiche i primi nomi che mi vengono alla mente passandomi dalle orecchie sono i Beatles del dopo "Revolver" o gli Who di "A Quick One" fino a istrionici metamorfi come Mike Patton. Personaggi che, anche in un solo album, hanno saputo scardinare le basi del genere per sperimentare cose altre. I The Coc rappresentano al meglio quest'attitudine e, proprio come Beatles e Who, che partivano dal beat per distruggere successivamente lo stesso stilema che avevano concorso a creare, muovono i passi dalla scena punk spezina per arrivare ad un sound eterogeneo dalle suggestioni sixties (non mi sembra necessario specificare che il paragone con queste due band è solo a livello di attitudine e non di importanza... eppure lo sto specificando).
"Dog Dig Dog" è una intro pestata che riporta in auge la psichedelia psicotica dei Gong mista ad una rivisitata attitudine punk. "Blackmails" ci teletrasporta nei saloni da ballo anni 50 ma sembra che a suonare ci sia una band in acido. "Angels", come "Wings", profumano di Bowie mentre "She Was 17" è sana freschezza brit-pop. "Queen" è un brano tirato da pogo selvaggio dal sentore prog che apre alle dissonanze al vocoder di "Little Channel Road". "Meteors" è una ballad interstellare che rimanda al sound dei primi Pink Floyd mentre la lezione punk si fa viva in "Strangers" e "Dog Dig Your Master" che chiude la demo con tanto sudore da raccogliere col secchio in un ipotetico live nella vostra stanza, voi, una lava lamp e lo stereo che passa a palla i The Coc.
Unico neo, la produzione. Ma è il prezzo da pagare quando si decide di autoprodursi tentando al contempo di sperimentare.
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La recensione Little Channel Road di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-05-21 00:00:00
COMMENTI (1)
too cool to be true.