La nuova proposta degli Hiroshima Mon Amour, un anno dopo "Anno Zero", è ancora estremamente codificata: definito il genere ("dark new wave"), ben identificabili i tratti caratteristici dei pezzi, con una completa adesione ai canoni 'tradizionali' dei primi anni '80, e dichiaratamente nitidi i punti di riferimento, con The Cure, i tardi Joy Division e Ultravox affiancati all'inevitabile richiamo ai Diaframma prima maniera, omaggiati esplicitamente in apertura del cd con una riuscita versione della epocale "Siberia".
Messe tutte le carte in tavola, in "Dedicata", all'interno di un'efficace confezione austera, si trovano tutti gli ingredienti classici del post punk: chitarre taglienti (e a tratti, con equilibrio, frasi di pianoforte) su tappeti di tastiere sorretti da bassi profondi e pieni, che vanno ad elaborare atmosfere diffusamente cupe in cui le componenti melodiche si sposano con efficacia ad un cantato piuttosto scarno e totalmente privo di qualsiasi minima concessione 'pop'. All'interno di una scelta così precisa, Carlo Furii e Antonio Campanella raggiungono sicuramente buoni risultati: i testi del primo, asciutti, 'decadenti' e spesso metricamente affini tra loro, sono perlopiù efficaci, e, nota importante nel caso di un progetto derivativo, la gestione comunque 'personale' dei suoni testimonia, oltre ad un (prevedibile) affetto profondo per le sonorità proposte, buone basi per proseguire nel lavoro di parziale affrancamento dagli imprescindibili riferimenti citati.
Difficile selezionare i passaggi migliori, in un album che tra i suoi pregi annovera anche un buon livello di omogeneità: a fatica, la scelta cade su "Nume", su "Presenze", con la sua lunga intro strumentale, e sulla splendida "Dedicata su piano", che sviluppa l'ideea della bella title track in un minuto di soli tasti bianchi e neri, frammento quasi luminoso circondato dalle tinte scure degli altri nove pezzi.
In sintesi, imperdibile per chi ricorda con nostalgia la breve stagione di gloria della new wave, e consigliato a chiunque non tema un viaggio nelle sonorità più significative di due decenni fa: gli HMA, lontani dal semplice e sterile revivalismo, possono essere una buona guida.
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La recensione Dedicata di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2001-06-01 00:00:00
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