Il Reverendo Crawford bussa alla porta di Frank McKlusky e lui risponde tirando fuori dalla camera di un bordello un bicchiere di whisky di buona annata e l'amore consumato in una sera con una entraneuse di cui non ricorda già il nome. Pensieri marci su una moleskine sgualcita di un peccatore incallito che rinuncia alla redenzione per una vita che si spera sopravvivi all'alba del nuovo giorno.
Dalla penna di Fabio Cussigh, con ancora addosso gli odori e le luci di una New York western-bohemienne esordisce Betzy, un bluesman informale e paradossale, un madonnaro di musica che con i suoi gessi disegna un mondo tragico e grottesco, naif e peccaminoso, fatto di istantanee e immaginari che stemperano la visionarietà di Tim Burton con le galoppate di Ennio Morricone. Ascoltarlo tutto d'un fiato è come farsi il segno della croce con l'acquaragia: corrode l'anima e brucia la pelle. Pare, talvolta, di stare a sentire i deliri di un Bob Dylan che sta per annegare nel Delta più nero della storia del blues, fino a rimanerne stordito: tra le righe dei suoi testi allucinati e un personale approccio alla chitarra, strapazzata spesso senza alcuna pietà, ti cibi di carne guasta e mai compiaciuta, di una frode necessaria per un garzone che desidera il sogno americano ma viene defraudato della retta via per sbarcare il lunario.
Betzy scrive come suona, con una febbre di fantasia che lo divora e fa vorticare tutti insieme nella mente i dischi del suo juke box: Jon Spencer e Charlie Patton, i bluesmen contemporanei ma anche la psichedelia pop di Beck, le melodie sixteen e il cantato che scava il fondo di una bottiglia attraversando i solchi di un vecchio vinile. Un cantore della provincia metropolitana, un singer del Nebraska ma meno schizofrenico e desolato, un Blind Willie McTell dalle corde vocali arrugginite e sferraglianti. Racconta un Paese non proprio delle meraviglie fra Brooklin e le Alpi Cozie, dove abbaia alla luna canzoni storte, con attitudine lo-fi e arrangiamenti da manuale, il tutto sotto la guida sapiente di Ru Catania (Africa Unite e Wah Companion) che assembla pensieri e suggestioni nei boschi della Val Germanasca, dando miglior forma alla sostanza dei chiaroscuri.
In "Romancing the Bone" si respirano variazioni sul tema che vanno decisamente oltre le dodici battute classiche pur richiamando in pieno la tradizione blues-rock: una fortuna rara per un disco d'esordio, un erculeo inchino verso l'estro di un autore allucinato, un artista a tutto tondo, che ai racconti fotografici (è suo il Vasco Brondi che corre senza fiato lungo la sua spiaggia deturpata), è capace oggi e con buona credibilità di unire verità dei fatti in musica.
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