E' una splendida giornata di primavera e fa già caldo, sono quasi le 18 ma c'è luce piena che filtra dalle tapparelle appena abbassate. Quando ascolto un disco nuovo lo faccio con metodicità, seduta alla scrivania, prima in cassa, poi in cuffia, ma dopo il pezzo di apertura "Ed Hopper" ho sentito l'impulso irrefrenabile di stendermi sul letto a godermi i raggi di sole sulle palpebre, lasciando lo stereo a briglia sciolta. Si muovono solo i piedi e appena appena la testa, mentre seguo i ritmi rilassati e talvolta spezzati dei Flora, e se i dischi sono sensazioni, "Traiettorie di volano" ne contiene un bel po' di fresche come il vento sulla faccia in bicicletta, una corsa in un campo di grano, è luce piena del sole, è un balletto in solitudine in cameretta (che sembri un po'ridicola, ma tanto non ti vede nessuno, che ti frega). Dalle spiagge grige di "Baltico" ai saltelli progressive di "Insalata n.5", tra le chitarre scintillanti e le tastiere liquide che ricordano i John McLaughlin e Chick Corea delle collaborazioni con Miles Davis, all'uso quasi crimsoniano dei centellinati interventi dei fiati, racchiusi in una pregevole confezione pop à la Perturbazione, che tocca il suo culmine di dolcezza e compiutezza nella delicatissima "Edimburgo".
Se volessi trovare qualcosa che non va in "Traiettorie di volano" sarebbero i testi, non sempre all'altezza delle trovate musicali, e le voci spesso monocromatiche, tanto da risultare qualche volta di troppo. In ogni caso, passando dalla incasinata storia di "Marco", alle ironiche istruzioni su "Come costruire un Alberto", io sul letto ci sono rimasta fino alla fine, e tutte le sensazioni morbide e ovattate dei Flora non mi hanno abbandonata per il resto della giornata.
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