Tre brani per più di cinquanta minuti: questo già suggerisce il contenuto delle tracce, lunghi sottofondi strumentali che giocano tra progressive asciutto ed elettronica fatta di accenni malinconici, come ad accompagnare lenti fotogrammi di pioggia e l’amaro in bocca. In un percorso per lo più notturno che alterna rimpianti e debolezze per farsi a tratti portatore di una piccola luce, si inseriscono visioni sintetiche ultraminimali, nessuna percussione, nessun battere e levare, una cascata ipnotica di suoni che si rincorrono sotto lo sguardo fisso di chi ascolta: persistente sensazione di vuoto. Non è facile approcciarsi a questo lavoro, soprattutto risulta complesso comprenderne il significato: un gioco d’atmosfere, un esercizio di stile, un che di catartico? Certo cattura, affascina, ti lascia pensare, si adatta magicamente ai frammenti di memoria che riaffiorano, ma allo stesso tempo crea aspettative che rimangono sospese nell’assenza di deus ex machina. In definitiva un esperimento sonoro interessante ma francamente difficile da assorbire per intero.
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