"Inner Island" è un disco lineare in superficie. Un amalgama di canzoni che scorrono lisce, una il seguito dell'altra, quasi senza interruzioni. Oltre la superficie "Inner Island" è un disco di contrapposizioni. Contrapposizioni a partire dal nome del suo gruppo: i Thisorder. Che a voce sono Disorder ma che nelle lettere sono un Ordine. E contrapposizioni soprattutto nel dualismo della provincia che urla nel disco. Come se quel mare che circonda Ischia, terra del gruppo, avesse due facce: confine prigione barriera contro patrimonio casa verità.
I Thisorder spingono gli occhi fuori dai confini dell'Italia e cuciono un disco internazionale. Musicalmente carico di quell'aria fuligginosa di Seattle che si respira nel grunge. Dai Pearl Jam agli Alice in Chains passando per i Soundagarden. Dei graffi stoner, unghie nella pelle. Delle ballate alla Screaming Trees.
I Thisorder scappano dall'Italia ma allo stesso tempo l'Italia la predicano nelle sue "Inner Island", in cui il mare si fa specchio per riflettere e non far disperdere l'interiorità. Per cantare le loro Isole Interiori prendono in prestito le parole di Allen Ginsberg in "3 Dawns". "Madding with inner skull vast as outside". Il dentro vasto come il fuori, il dentro come unica verità. Il dentro per decifrare il caos del fuori. Un caos, uno sguardo al mondo che si attorciglia per tutto il disco. E raggiunge l'apice in "Late Empire" in cui si ricorda la morte di Neda Agha Soltan, la voce dell'Iran, la voce della democrazia, della libertà e del diritto di voto. Perché si deve sempre ricordare.
Malessere, ma. C'è qualcosa che non so afferrare. Qualcosa forse nella voce limata, liscia. Che si discosta da quel grunge fatto di non: non potere, non cambiare, non esserci ma guardare solo. Inermi. Qui c'è un respiro che spezza i non. L'unica morte è la morte della speranza. Respira.
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La recensione Inner Island di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-05-17 00:00:00
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