Per chi conosce il percorso degli Alibìa questo disco rappresenta probabilmente lo zenith fino a questo punto della carriera. Senza contare infatti i vari demo precedenti, dall'ep d'esordio del 2001 - in cui davano una prima forma compiuta al progetto - i sei ragazzi campani hanno sempre cercato di trovare la quadratura del cerchio per una formula che, mano a mano, é diventata sempre più personale. Tuttavia, ancora oggi, in molti continueranno a ritenere che il progetto rimarrà - o forse lo è/sarà da/per sempre - inesorabilmente imprigionato in quello schema riconducibile alla proposta targata Scisma. Il meccanismo delle due voci maschile/femminile non aiuta a sgretolare i pregiudizi ormai cristallizzati, ma negli anni Massimo e Katja hanno saputo fornire prova di una capacità di scrittura sempre più autonoma rispetto al principale riferimento autoctono.
Probabilmente l'inganno é costituito dall'immaginario di riferimento, a cui la band continua ad aderire coerentemente. Anzi, di più: questo "Manuale apocrifo..." ci pare, per sonorità e mood generale, un lavoro a tratti filologico rispetto a un solo nome evocato, che è quello dei Radiohead. Che a sua volta potrebbe apparire scomodo, tanto per il sestetto quanto per il sottoscritto, perché il gioco dei paragoni é lo step successivo una volta tirato in ballo IL nome. Non che negli album precedenti non ci fossero riferimenti a Thom Yorke e soci, ma stavolta gli Alibìa hanno mandato a memoria tutto ciò che il quartetto di Oxford ha saputo sintetizzare in questi anni in campo musicale, soprattutto in capolavori come "The bends" e "Ok computer" - mica scemi! Non si confonda però l'aggettivazione: filologico é diverso da pedissequo - anche se un brano come "L'estate che non c'é", nella sua oggettiva bellezza, é quello che paga il maggiore tributo in termini di richiami sonori… e questo disco dimostra brillantemente come si possa cercare una propria strada, impegnandosi nel corso degli anni, senza rinnegare influenze e muse ispirative.
Perché in fondo questo non é altro che un pop contemporaneo, italiano di nascita ma concepito ascoltando e guardando il mondo. Chissà come sarebbe andata a finire con un produttore straniero: Nigel Goldrich a parte (oltre che inarrivabile!), la sfida potrebbe essere quella di confrontarsi anche - perché no? - con una figura distante dal modello che in "Manuale apocrifo…" emerge prepotentemente. Ciò non toglie che, come cantano (casualmente?) in "Coordinate per il futuro", i sei sono diventati grandi per davvero e studiano per ritagliarsi un ruolo importante nel panorama italiano. Aspettiamo ancora che non ci si accorga di loro solo da queste parti.
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La recensione Manuale Apocrifo delle Giovani Marmotte di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-04-15 00:00:00
COMMENTI (3)
sbaglio o sono tutte molto somiglianti tra loro?
(Messaggio editato da laradura il 15/04/2010 17:06:52)
bello si ascolta bene, bei suoni. Le melodie, cupe ed avvolgenti (L'idea di te) attraggono.
Bellissimo..
In ogni singolo brano si sente forte l'anima Alibìa, mentre l'album mostra un'immensa crescita della band, con la sua forte e sempre più definita personalità, mista ad una buona dose di originalità..
Pensieri, giudizi, parole, disillusioni, viaggi, percorsi di vita e d'esperienza, trattati con classe e leggerezza.
Splendidi i testi, sublimi le musiche....