Partenza a strappo per il nuovo disco degli Omini Verdi, con "L'Italia che muore" che assalta l'ascoltatore con i suoi proclami di disprezzo e non appartenenza. Hardcore melodico secondo tradizione musicale e tematica oramai consolidata, il quinto lavoro del gruppo prosegue lungo la traiettoria stabilita con gli episodi precedenti, affinando sempre più la qualità tecnica della proposta ma scostandosi raramente dai modelli e dai cliché dell'HC melodico californiano in salsa di pomodoro.
Packaging verde, di rabbia o speranza, "Nel nome di chi?" si conferma compatto, aggressivo e con pochi spazi per l'indecisione, concedendo una tregua solo con la conclusiva "La linea del tempo". I temi d'altronde ci sono tutti, dallo Stato al clero nessuno può dirsi risparmiato, anche se si tratta di colpi a cui oramai hanno fatto il callo tempo or sono. Musicalmente i brani scorrono rapidi e rabbiosi, il tutto si mantiene facilmente fruibile e ben confezionato. Pezzi riusciti come la titletrack, "Il cielo che non c'è" o la già citata opener costituiscono l'ossatura di un disco dal livello qualitativo alto e piuttosto uniforme. Gli elementi classici ci sono, batteria serrata, doppia voce, riff melanconici, brevi assoli e coretti di accompagnamento, e non mancano neanche rimandi ed assonanze più o meno espliciti con quanto il genere è riuscito a produrre in questi vent'anni (chi non sente gli Offspring in "Spiegami perchè?" mi deve una birra). Nel complesso insomma un disco godibile che sa crescere bene con gli ascolti, assumendo una propria fisionomia.
Fedeli a se stessi, gli Omini portano avanti un'ortodossia melodica al cui confronto i Punkreas a tratti sembrano degli eclettici Roy Paci. Ma quello che sanno fare lo fanno bene, e di certo non deluderanno chi ama lo stile e non aspetta altro che un concerto in cui pogare e magari cantare con una birra in mano. E quindi ben venga l'Invasione, nella speranza che l'ortodossia non diventi sclerosi.
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