Capaci di sfoderare una scia di folk tribale di quello che ti fa alzare dalla sedia e cantare a squarciagola o dondolarti al chiaro di luna con ballad song che odorano di paglia, melodie senza tempo e tintinnii di suoni che scompaiono al tramonto. Il canto liberatorio di un'infanzia ritrovata, corse a perdifiato e chitarre da imbracciare. Scivolano nel pop, nelle aperture post-rock e scorazzano giù in picchiata libera in una Pangea di suoni in cui i chiaroscuri hanno molta più sostanza dei colori primari. Un vago, solfureo sentore psichedelico che culla e agisce come un soffice analgesico. Si è al cospetto di brani crepuscolari in girotondo, aromi bucolici postmoderni e soavi, impeccabili armonie vocali; senza sbavature, rigonfie come risacche, alternate a nostalgici toni confidenziali. La varietà è rappresentata dallo splendido cambio di ritmo, da nitidi passaggi di stile, da arrangiamenti puntuali che soreggono costruzioni sonore disarmanti, da trame di chitarra acustica che fanno da rete di sicurezza per storie da tonfo al cuore. Ne viene fuori una visione convincente e personale di dolente/gioioso folk-post senza restrizione di sorta. Come coniugare dalle nostre parti l'obliqua e intelligente capacità di sorvolare i generi dei Death Cab For Cutie a fughe e dilatazioni che possono ricordare gli Appleseed Cast. Visionari e introspettivi regalano piccole grandi perle di puro godimento musicale, che meritano di essere ascoltate con tutta l'attenzione del caso, acustiche nell'animo, occasionalmente elettriche nei vestiti. Un gran bel sentire da procurarsi ora e godersi per tutta l'estate.
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