Jang Senato
Jang Senato 2011 - Cantautoriale, Pop, Easy-listening

Jang Senato

Bravi ragazzi gli Jang Senato. Facce pulite e sane, che se solo credessi nel matrimonio sarebbero esattamente l'uomo che vorrei diventare per farmi sposare. Simpatici, innegabile, capaci e determinati quanto basta per non eccedere in pecche di presunzione. Educati gentiluomini romagnoli, trentenni innamorati e con una voglia spropositata di vivere. Musicisti senza fama ("l'insuccesso ci ha dato alla testa"). Provinciali, se vuoi: l'ultima volta che li ho incontrati avevano preso in prestito il pulmino della squadra di calcio di paese per farsi 300 chilometri, suonare, e rimontare veloci tutto che la mattina dopo la squadra aveva partita in trasferta.

Il loro disco d'esordio è un parto che si son concessi con molta calma, dopo tre anni passati a suonare in giro per l'Italia imbottendosi le tasche di premi e riconoscimenti, che se solo fossimo un paese dove due-più-due-fà-quattro, a questo punto, loro, non avrebbero certo bisogno di presentazioni. Un esordio autoprodotto, e mai come in questa occasione dispiace dover sottolineare la difficoltà a capire i meccanismi del mercato: se fatica a trovare distribuzione un pop d'autore simile, mi chiedo cosa altro possa domandare l'industria musicale in Italia.

Quindici canzoncine che sembrano uscir fuori dall'incontro perfetto tra pop moderno e tradizione cantautorale. Il rispetto per i padri della nostra canzone è tutto nella poetica spensierata ed elegante di Titano: la sua voce fresca snocciola parole ed immagini dal senso leggero e mai banale. La "erre moscia", che aveva fatto sorridere in quella "Respirare" di due anni fa, si afferma ora a status symbol delineando la figura di una cantautorato quanto mai nuovo. Difficile trovare riferimenti: la scrittura degli Jang Senato prende da Bruno Martino come da De Gregori, e alla grazia intimista di questi mescola coloriture esplicite: partendo da Ivan Graziani e Alberto Fortis, il sorriso disincantato dei cinque romagnoli sembra accostarsi vagamente (con giusta misura) all'ironia feroce di contemporanei come Bersani e Silvestri, mentre il romanticismo abbonda in dosi massicce e scanzonate come un Dente leggermente meno sognante. Una scrittura fresca ed intelligente, a cui si affiancano le innegabili capacità compositive, che contribuiscono a fare di queste canzoni degli espedienti di semplicità al grado zero, nella ricerca costante della melodia e del dettaglio piccolo, risultando un ammasso corposo di musicalità che non eccede in estrosità ma resta costantemente piantata ad un senso familiare e quotidiano dell'ascolto.

È così pezzi che avevamo già fischiettato ("Respirare" o "Un tempo") si riscoprono nella completezza di un lavoro intero, da gustare dall'inizio alla fine. Strutture ariose ("Lamericano") e ballate in levare ("Tempi buoni"), pezzi lenti ("Agata") e timide rivendicazioni sociali ("Factotum", "Luoghi comuni" o "Ragazzo pulito"), fanno di questo lavoro un moderno ricettacolo di felicità italiana. La bravura nel destreggiarsi in tematiche consolidate evitando espedienti già sentiti, la capacità di sorridere con eleganza sui problemi e i rompicapo esistenziali della nostra poesia, rendono gli Jang Senato un piccolo modello della nostra provincia musicale. Capaci infine come pochi di ritagliarsi un vero e proprio pensiero: una politica della semplicità ("sto cercando di dare ragione alle piccole cose"), alla ricerca costante di un senso senza cadere nella noia, vivendo con leggerezza pop senza che questo voglia dire restare incuranti di fronte alla realtà.

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