Ultimamente, ascoltando la musica italiana, si assiste sempre più spesso al curioso fenomeno della sindrome da ultima canzone brutta. Fateci caso: l'ultima canzone di un album, quella che spesso, in un passato non tanto remoto, era un gioiellino nascosto, una sorta di premio per chi arrivava in fondo al disco, adesso è quasi sempre un tristo scarto di magazzino. Forse perché ormai nessuno ascolta più un album fino alla fine? E allora perché non fare dischi con una canzone in meno, e risparmiare al povero ascoltatore metodico certi strazi, come le rime baciate di "Paura mi fai"? Oltretutto, il pubblico a cui si rivolgono i Blastema non è un pubblico di cretini. E, per il resto di "Pensieri illuminati", il livello si mantiene sopra il dignitoso. Ma anche sotto il memorabile. Un rock classico, di quello che qualcuno ama definire viscerale, che guarda soprattutto agli anni settanta, ma senza esagerare con i virtuosismi prog, e novanta, quando appunto i suddetti virtuosismi vennero sdoganati, in una versione moderata, più sentimentale, ascoltabile anche dagli allergici cronici alle ostentazioni, soprattutto grazie a un certo Jeff Buckley. E la voce di Matteo Casadei qui spasima per raggiungere picchi alla Buckley (o Cornell, visto che non mancano reminiscenze seattleiane) però, a volte, viene da pensare più alle Vibrazioni che ai Soundgarden. Ci permettiamo quindi di dare un paio di consigli: stemperare il melodramma vocale, e puntare di più sullo sviluppo di uno stile meno telefonato: per esempio quello dell'interessante "La prima cosa", cupa come la soundtrack di un thriller d'antan, ma abbastanza misurata nell'interpretazione.
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