L'orizzonte che ritorna sereno dopo il passaggio di un tornado sentimentale. Ci si siede lentamente, si fa entrare una bella boccata d'aria nei polmoni malandati, si prende il proprio tempo, ci si riappropria delle giuste parole. I Vickers si accomodano piano nella ruralità del loro salotto, si lasciano dietro il rumore di fondo e ci raccontano in stato di grazia da un sofa che odora di fiori appena appassiti, dell'importanza di perdersi senza sapere se è giusto ritrovarsi. La narratività folksy, è la resina di una manciata di brani dalla notevole inventiva melodica, dalle armonizzazioni brillanti, piccole nenie per viaggiatori nostalgici. Calzano addosso come abiti fuori moda ma bellissimi, di quelli regalati per un compleanno che si è perso nei ricordi e che tornano nell'armadio proprio quando ne avevi bisogno. Canzoni per ecosistemi casalinghi, con risacche gonfie di malinconie, soffuse vibrazioni low-fi, romanticherie percussive che accompagnano a piccoli passi le stagioni che pian pian ruzzolano via. L'ensemble toscano si guarda allo specchio e si racconta. Non cerca neppure di paragonarsi col passato, passando in rassegna suoni e immagini che si mescolano nella memoria per poi confondersi e scolorire al tramonto. Poesia acustica, senza sbavature, piaggerie indie/noia, ancora più pregevole perché reinventa in un breve spazio temporale il loro prologo musicale. Non farete fatica ad innamorarvene.
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