Si va indietro nel tempo coi Lucertulas. Anni novanta, New York, Unsane, primi Helmet, Amphetamine Reptile e via andare. Il noise, insomma. Un linguaggio squassante e urticante, che ha impresso un marchio indelebile nella musica contemporanea. Una massa critica di riff, bassi pulsanti e distorti, ritmiche scavarocce e un vociare dissennato e distorto, a rappresentazione del peggio delle metropoli contemporanee. Un linguaggio che è lungi dall'essersi esaurito, che ha molto da dire. Che ha detto molto dopo quegli anni. Ed ecco i Lucertulas, dal nord est made in Italy. Sotto l'ala protettiva di Giulio Favero col precedente "Tragol de Rova", sempre per Robotradio, stavolta del suo accolito e braccio destro Giovanni Ferliga (Aucan), un nome da tenere d'occhio se questi sono i risultati al banco di regia. Insomma, qua si parla il verbo di quel noise di cui sopra e, inevitabilmente, della declinazione italica ad esso più affine, ovvero quei One Dimensional Man reincarnati poi nei Il Teatro degli Orrori. Lingue morte direbbe qualcuno, ma le lingue non muoiono se c'è qualcuno che le sa usare e ne sa ricavare materia tanto densa e significativa. Nove tracce in cd e download gratuito (tutte in un indistinguibile rantolo anglofobo) più quattro in uno sconcertante italiano (solo su vinile, oggetto debitamente impreziosito dalla manifattura artigianale Robotradio/Macina Dischi). E tra una dissonanza e una sospesione ipnagogica emergono scorie US Maple/Oxbow, debitamente e rispettosamente citate, non importa se volontariamente o involontariamente, diciamo solamente per necessità comunicativa. È una musica di aggettivi da inventarsi e di parole da accostare con veemenza e spregiudicatezza, per essere descritta quella dei Lucertulas. Una musica che è un ammasso unico di densità che si scontrano, che solo su un palco ha la sua completa catarsi collettiva di senso e nonsense. Un'esplosione di violenza necessaria e perfettamente canalizzata: fa male per non far male, verrebbe da dire. Una musica inascoltabile come invivibili sono i tempi in cui viviamo, e proprio per questo da ascoltare e da cui farsi attraversare per raggiungere una maggiore consapevolezza del presente. Che forse è ancora ancorato agli aspetti più deteriori di quelle metropoli anni novanta e di quegli scontri di lamiere che hanno ispirato certi ventenni ventanni fa.
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La recensione The Brawl di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-07-09 00:00:00
COMMENTI (1)
Comprato il vinile a uno dei loro due concerti che ho visto la scorsa estate. Disco dalle sonorità certamente non nuove, ma suonato con una grinta e con una potenza inafferrabili. Grandiosi. "8 Hours" e "A Wicked Eel" le mie preferite.