Lunga jam visionaria, nuova fatica solista per l'eclettico fondatore degli importanti Ulan Bator, cui la storia rock europea degli ultimi quindici anni deve tantissimo in ordine a forma e sostanza, almeno sul versante della polarizzazione luce/ombra. Ispirato al capolavoro muto "Tabù" (Murnau, 1931), il disco ne risulta un doppelgänger, incline al conseguimento sistematico di un preciso canone estetico - inquietudine, travaglio, trascendenza - inseguendosi le tredici traccie in una cronologia, ed essendo altrettante declinazioni di momenti salienti della pellicola.
"South Seas" dichiara fin da subito l'amore per il d'antan krauto (Neu, Tangerine Dream, Faust), influenza sottesa a tutta l'opera, ma con l'inusitata freschezza dell'attuale. Melange mitteleuropeo con flirt USA (Windsor For The Derby, su tutti) in "Vodoo Doll", così come in "Tropical Waves" non è difficile rintracciare le vestigia del colosso Swans.
Lo scarto del non-evocativo, di ciò che in senso filmico resta 'al di fuori', è affidato ad una sorta di gelida elettronica ("The Rope"), al glitch primordiale ("Money") e ad un tribalismo psichedelico ("Palm Trees"). L'opera risulta impregnata di 'marginalismo', del lato in ombra delle cose, di ostinazione e controtendenza, elementi di una vocazione tanto sincera quanto blasfema. E ci sono i freaks di Arbus oltre a quelli dello stesso Murnau; e ci sono i Faust (la band) oltre all'esserci Il Faust (il film). Art rock tecnologico, redivivo, o collage espressionista. Autorevole autore, traccia importante.
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