Prendete una dotata band cosentina che da anni con perizia cerca la migliore carreggiata possibile in una formula sonora che fra le sue trame lascia entrare padri putativi come i Kraftwerk e illustri progenitori come i Depeche Mode nella migliore parentesi eighties, poi metteteci dentro mesi intensi, in cui si imbastiscono le tracce, le si affida ad un impagabile alchimista del suono quale Madaski e si aspetta il tempo giusto e la giusta cura per farle conoscere al grande pubblico, ed avrete un'idea seppur sommaria di chi siano i Gripweed. Danno alle stampe il loro "K" album e recuperano lo spirito della new wave più profonda, pescando dentro le più remote regioni emozionali alla ricerca di forme di inquietudine da cui liberarsi, gabbie che non strozzino il respiro, la ricerca di un Santo Graal sentimentale. Restituiscono un suono adeguatamente bilanciato fra analogico e digitale, un mix di memorie, non nostalgiche, dell'era pioneristica dell'elettronica applicata al pop, di strutture ipnotiche e reiterative rivisitate in chiave moderna e visione contemporanea. Struttura e assetto sono organici, distillati da un dark mood che sgorga vivo da un album zeppo di bei suoni, non immediato certo ma con una capacità di scrittura ben assestata e qualità al posto giusto. Doveva suonare nelle intenzioni dei suoi autori sinfonico e maciulla invece kg di industrial, avrebbe dovuto masticare corde e tasti e si muove invece su un impianto umanoide, prende synth, sampler e altri ammennicoli e fagocita le sue stesse partiture. E nonostante tutto riesce comunque ad essere convincente, perché pezzi come "Cigarettes" e "Burst" non riesci dopo il primo ascolto a levarteli davvero dalla mente. Tra video-remix contest, bootleg regalati al fan-base, vivi apprezzamenti fatti da personaggi del calibro di Kyp Malone dei TV On The Radio con cui hanno diviso il palco a Roma nella presentazione ufficiale dei nuovi brani, sarebbero arrivati e non in punta di piedi in modalità 2.0, con un nuovo inizio, una ripartenza col botto, un futuro prossimo tutto ancora da scrivere. Il biglietto da visita che invece lasciano che presenti il loro "K" album è quello di una fuga: quella del suo frontman Cristian Rosa, che dopo settimane di silenziosa latitanza, dà tracce di sé in Spagna alla ricerca di una decompressione da un game over emozionale che lo porta oggi ad annullare date e tour e prendere le distanze seppur temporaneamente (si spera) da compagni di viaggio e neonati brani. Tra la prima e la seconda strada noi preferiamo imboccare quella principale: restituire il gusto di una buona produzione che purtroppo non si avrà il piacere di ascoltare nell'immediato dal vivo; perché la fuga non si loda, ma si detesta, si comprende ma non si giustifica soprattutto per chi resta e impasta le fondamenta.
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La recensione K di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-06-09 00:00:00
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