Maurizio Bianchi è un personaggio molto conosciuto negli ambienti dell’industrial italiana, per una sensibilità che restituisce un’originale (e altra) percezione dello sperimentale sonoro.
E’, invece, una storia ricurva, quella di Claudio Rocchetti, poliedrico musicista che, partendo dalla tradizione hardcore e attraverso una parabola frastagliata, giunge alla gentile arte del giradischi, collezionando una serie di esperienze tanto importanti quanto vaste (numericamente e qualitativamente), tali che difficilmente potrebbero stare su una pagina di Rockit.
Apparato di funzioni analogiche, o macchina da guerra per riproduttori e registratori, Bianchi e Rocchetti, confondono le loro identità in un flusso multiplo, dove nella prima parte del disco risulta preponderante l’azione del primo, tra ambientalismi e ricerca vintage, con escursioni in ambiti storici decisamente ottanteschi. Rocchetti s’annida (probabilmente) tra le pieghe noise, negli spazi dilatati all’estremo (“Smarrimento” e “Alienazione”), margini di una “desertificazione” sonora che è medium e messaggio – dove trovare scie del suo I Could Go on Singing.
E’ una sorta di testamento, quello di Bianchi, stando al già annunciato ritiro dalle scene, e una vera chicca per gli appassionati. In ultima analisi, un compendio riuscito di ricerca tradizionale e innovazione sperimentale.
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