Vietato ai maggiori di diciotto anni. Le canzoni dei Camp Lion sono volatili e colorate come i palloncini in copertina, e come quei palloncini hanno anche dei tratti di nero che disegnano il volto brutto della realtà. Ma sempre col tocco leggero di chi si guarda intorno, vede e pensa ma non ha certo intenzione di mettersi a cambiare il mondo. Al massimo, organizza un'autogestione a scuola.
E questa non è una critica, né agli adolescenti mediamente poco interessati alle questioni della vita, né ai Camp Lion. I quali fanno la giusta musica di passaggio per un'età di passaggio. Che è una cosa fondamentale e delicatissima: un adolescente che ascolta Marco Carta e legge Moccia quante possibilità ha di evolvere in un adulto dai sani ascolti e dalle raffinate letture? Diciamo non tantissime, anche se nessuno è irrecuperabile. Invece, il pop-rock più pop che rock dei Camp Lion, pulito pulito, pieno di frasi da diario ("Rattvik", parte 1 e parte 2: "Voglio andare via per qualche giorno senza dire niente a nessuno anche se a nessuno importa" – è solo un esempio fra mille), coi giri di chitarra che più semplici non si può, lo spirito punk ma senza implicazioni più impegnative del "puoi farlo anche tu", è più da accompagnamento alla lettura di un Paolo Giordano: non è alta letteratura, ma può condurre a qualcosa di meglio.
Come "La teoria di Romero", disco di transizione verso qualcosa di più consistente, per chi lo ascolterà ma anche per chi lo ha fatto: forse non è un caso se la canzone che si distacca (e si eleva) dalla media sia l'ultima, "Clever", più oscura, lunga, effettata. Più adulta.
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La recensione La teoria di Romero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-12-02 00:00:00
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