Elio Petri, regista di cinema autoriale, per un po' aveva lavorato in un giornale, e l'approccio cronachistico è una costante della sua opera. Emiliano Angelelli, in arte Elio P(e)tri, di mestiere fa il giornalista, e quando può fa anche il cantautore.
Più autore che cantante, in verità. E come a ogni bravo autore, che sia di film o di canzoni, a Elio P(e)tri interessano le storie e le persone. Nel suo caso, però, forse proprio per liberarsi dalla realtà a cui lo vincola il lavoro di cronista, lo spirito è più intimista, con tratti di surreale e postmoderno, e un'ironia quasi geniale: "La ricetta dell'uomo perfetto" è un pezzo di teatro stralunato che, divertendo, restituisce il senso dell'artigianalità di un lavoro "fatto in casa", ma non amatoriale, anzi.
C'è grande consapevolezza negli arrangiamenti, che sono meno spartani di quanto sembri, e non solo grazie agli archi, che conferiscono subito una certa maestosità ("Bradipo" ne è l'esempio più lampante): le tessiture di piano e batteria di "L'uomo che imparò a volare", per dire, danno il giusto respiro alle parole, poche e dirette ma importanti, così come il senso di claustrofobia di "Rachmaninov" si deve tanto alla monotonia del testo quanto alla non metodicità del cantato e all'orchestrazione vorticosa, mentre gli effetti producono un'atmosfera horror in "Macelleria" e l'aura classica dà un tono francese a "Requiem dell'amore" – che, fra parentesi, sarebbe un bel titolo anche per un film (come "Non è morto nessuno, del resto).
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