Paparappapa, sono solo canzonette, paparappapa. E se anche così fosse, potrebbero non essere poi tanto male. Dipende tutto da dove e come si guarda quel diminuitivo. La strategia sta tutta nell’interpretare le piccole forme della quotidianità con sensibilità e ironia, credersi un po' attori ma aspirare anche ad essere a tratti veri filosofi. Non dimenticarci dei baci al risveglio, fare della colazione fugace il primo sorriso della giornata, sopportare l’ennesimo ritardo del treno come fosse solo uno scherzo.
Il cantautore romano Giuseppe Palazzo vuole insegnarci questo, non con la sicurezza di chi sta seduto alla cattedra, ma con la spavalderia del nostro vicino di banco, e un po’ più in là potrei dire di vederci seduto Pino Marino a canticchiare sommessamente le sue canzoni, spontanee così come lo sono queste.
Dopo lo swing di “Solo quando piove”, riceviamo un invito, che sarebbe un delitto ignorare, verso uno stile di vita da condurre “Serenamente”. Nemmeno il tempo di accomodarci e subito Palazzo ci incalza con i suoi giochi di rime di incastri in "Tamagotchi", un reggaeggiante e intrigante esercizio di stile. La cover di “Mio fratello è figlio unico” è attuale come non mai e precede un finale a sorpresa: “Linguine a Surimi”, all’apparenza una ricetta culinaria in musica, è nel profondo una canzone d’amore, che nasconde tra le righe un accenno a problemi alimentari che si nutrono di carne e anima.
Palazzo propone un album che può venire incontro ai gusti più diversi perché, se vogliamo giocare con le parole come ci ha insegnato, è una rivelazione rivelante. E’ ricco di buone intenzioni e ottime intuizioni, un esordio degno di nota.
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