Esiste un problema di fondo nella musica dei Mon Rève: la mediocrità. Nel senso più stretto del termine, ovvero ciò che si trova in una posizione intermedia tra i due estremi "bello" e "brutto". I musicisti di Bari non sono affatto scarsi, ma scrivono canzoni modeste. L'approccio è quella da rock band alternativa anni novanta, che non tiene però conto dei venti anni trascorsi, restando ancorata ad una cifra stilistica a rischio pensionamento. Solo le grandi idee potrebbero salvarli, ma queste, purtroppo, mancano quasi completamente. Cercare rifugio ripetendo a memoria il manuale dei Sonic Youth e dei Marlene Kuntz certamente non aiuta e, semmai, peggiora la situazione. Per questo, le canzoni dei Mon Reve affogano nel loro stesso spleen sonico, dimenandosi senza grandi risultati tra fluttuazioni distorte, chiaroscuro di rumore e deboli tentativi di poesia decadente. Un disco concepito con cura, suonato con pancia e cuore, cantato con discreta intensità. Non è da buttare, ma non è da conservare. Non è da stroncare, ma nemmeno da esaltare. E' anonimamente normale, decentemente banale. Del buono c'è, ma ne va aggiunto ancora tanto per diventare davvero importanti.
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