Per il suo secondo vero album, Paolo Agosta sceglie di proporsi come band, che, un po' presuntuosamente, porta il suo cognome. Nella recensione del precedente "Nuove Strade" si parlava del timore che le sirene del pop commerciale indirizzassero il polistrumentista milanese verso sentieri di perdizione. "Virus" è un po' la conferma di questo timore. Undici brani, che, se da un lato sfiorano il songwriting più puro di Benvegnù e Perturbazione e il rock ruvido degli anni Novanta, dall'altro sembrano più ricordare quanto di peggio il pop commerciale italiano ha mai prodotto.
Intendiamoci: il background è sicuramente ottimo (l'idea è quella di un concept sull'amore), le liriche sono ben curate (anche se a volte fin troppo melense), il terreno filosofico è piuttosto fervido (l'idea che l'amore sia un virus dal quale distaccarsi per purificarsi), i brani d'impatto non mancano ("Virus", "Piove", "Niente"). Il problema è che tutti questi tasselli non reggono l'insieme e fanno cadere l'opera in un compendio di banalità liriche e musicali che poco hanno a che vedere con i referenti di partenza (tra i quali è d'obbligo citare anche Morgan).
Più convincente quando si accosta a sonorità distese e meno rock, "Virus" è un album sterile, che raggiunge la sufficienza solo grazie all'abilità e alla versatilità del leader, che, con esperienza, cerca di camuffare la deriva, che il suo progetto ha irrimediabilmente preso.
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La recensione Virus di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-03-28 00:00:00
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