Dopo averlo perso volontariamente di vista negli ultimi anni (risale al 2001 l'ultima frequentazione), é parso facile riprendere contatto con Max Gazzé. E' bastato infatti l'incipit di "Quindi?", affidato a "Io dov'ero (atmos 5)", traccia che rimanda alle sonorità del disco d'esordio, per ben sperare sul resto dell'opera. Un atto di coraggio, dopo la sbiadita parentesi sanremese, che all'improvviso risollevava il livello delle aspettative nei confronti di un musicista "atipico" che negli ultimi 15 anni - non neghiamolo - ha saputo giocare brillantemente col pop e la canzone d'autore nelle sfumature più svariate.
Peccato però che un disco con un inizio del genere si perda per strada, infarcito di ballate che hanno tutta l'aria di riempitivi. Se era lecito aspettarsi qualcosa di fenomenale, mano a mano che si prosegue con l'ascolto lo stupore iniziale lascia il passo alla delusione. "A cuore scalzo" è il classico singolo orecchiabile di Gazzé col solito refrain, di fronte al quale viene istintivo abbozzare un timido sorriso, ma subito dopo cominciano gli sbadigli; Gazzé si lancia infatti in una serie di canzoni che, nonostante svariati ascolti, lascia completamente indifferenti. Sarà che con lui - e credo lo si faccia a ragione, visto il talento che lo contraddistingue - stiamo sempre a cercare il guizzo del campione e l'arrangiamento del fuoriclasse, ma stavolta il risultato é davvero deludente. Nella sostanza l'album non presenta variazioni sostanziali rispetto al sound a cui il cantautore romano ci ha abituati, ma ci pare fin troppo appiatito su una formula che ha perso smalto ed efficacia. Eccezion fatta per la conclusiva "Dna (desossiribonucleico)" (e la già citata traccia iniziale), "Quindi?" rimane episodio prescindibile nella carrierà del bassista.
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