E' come un film di Tarantino. Qualcosa che ti aspetti, che sotto sotto sai che strada prenderà, ma che ti stupisce ad ogni attimo e nei dettagli. E che è pieno di citazioni, basse e coltissime insieme, che non afferrerai mai tutte fino in fondo.
I Massimo Volume sono tornati, ce lo diciamo da due anni. Stavolta, però, non sono solo tornati insieme a suonare su un palco quei vecchi brani a cui molti sono attaccati come cozze sugli scogli. Stavolta hanno fatto un disco di inediti, Cattive abitudini: quasi dieci anni di ricordi, storie, personaggi immortalati in dodici brani, con i testi firmati come sempre da Emidio "Mimì" Clementi. Alla chitarra e alla batteria ci sono ancora Egle Sommacal e Vittoria Burattini, a cui si è aggiunto il chitarrista Stefano Pilia, più giovane di svariati anni delle vecchie leve, quelle del nucleo originario, ben affermato anche nella scena più sperimentale.
Le Cattive abitudini del titolo sono quelle che affliggono i protagonisti del disco. Uno che esce da una casa di cura, un altro che invece si chiude in casa per non uscirne più e così via. Ossessioni e peccati quotidiani, conditi con qualche velata critica a quelle "menti migliori della mia generazione – canta Clementi in Fausto, dedicata al musicista Fausto Rossi –a mendicare una presenza al varietà del sabato sera". Un omaggio a Allen Ginsberg. Ritorna anche Leo in Litio, che mi fa pensare a I mari del Sud di Cesare Pavese ed è una bomba di riff fendenti, e c'è parecchia Bologna, anche se non viene mai nominata direttamente.
Un disco etereo, meno urbano, meno claustrofobico. Meno inquieto. Ma più riflessivo, aperto a paesaggi ampi, come la spiaggia. Non hanno inventato niente di diverso da quello che hanno sempre fatto e per cui li abbiamo amati, ma sono riusciti a produrre una sintesi intensa, puro sinonimo di bellezza. Ci sono tanti suoni diversi, dentro: un pizzico di psichedelia sixties, schitarrate rock più anni 90, temi così spediti e carichi che ti si conficcano nella testa come pugnali.
La traccia d'apertura, Robert Lowell, porta il nome di uno dei maggiori poeti americani del XX secolo, di cui si dice fosse un donnaiolo e un pazzo. Un'intro classica alla Massimo Volume, invoglia all'ascolto e dà la prima scarica elettrica, un po' noise annerito e ruffiano. Le nostre ore contate ha delle aperture splendide, e parla di Manuel Agnelli.
Poi ci sono pezzi più riflessivi, lenti, dilatati. Come Mi piacerebbe tanto averti qui. Rigiràti di nuovo come calzini con l'arrivo di La bellezza violata o Fausto. Inquietante e martellante, infine, via Vasco de Gama porta il nome di una strada di San Benedetto del Tronto, città natale di Mimì.
Non sono più i ragazzi che andavano al Link e all'Isola nel Kantiere, come ben raccontato attraverso le loro testimonianze nella biografia di Andrea Pomini Tutto qui. Non vivono più nelle case occupate del Pratello. Ma fanno cose ancora più belle di quelle che facevano tanti anni fa, in barba alle attese da post reunion. Sparato in cuffia mentre si cammina per le strade della città che li ha accolti, e che ha saputo tirare fuori il meglio da loro, sembra quasi di rivivere quegli anni. Poi no, non è così, e come sempre quando arrivi dopo ti dicono che tutto è cambiato e prima era meglio. Certo che prima era meglio. Non sono sicura, però, che anche il loro "prima" sia meglio del loro oggi.
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