Il debutto di Johnnie Selfish, assieme alla sua cricca di sbandati, arriva fresco e frizzante come una pinta di birra gelata che scivola sul bancone di una bettola malfamata e fumosa nei sobborghi poco illuminati dal sole della zona est di Milano. In realtà, potremmo trovarci anche in un pub di Dublino che apre la porta sul retro dopo l'ora di chiusura a tutti i disperati che hanno ancora bisogno di bagnarsi la gola di alcol mentre maledicono quello che li sta vomitando accanto.
La voce di Johnnie, roca quanto quella di Mike Ness dei Social Distortion ma più calda e profonda, cammina spedita e a suo agio sul tappeto country e folk che viene steso sotto i suoi piedi. Disegna ricordi di un passato malinconico o denuncia, sulle note di una triste melodia blues bagnata dalle lacrime di un'armonica, la noia e la frustrazione che bruciano dentro quando guardi negli occhi il quartiere dove vivi da sempre e vorresti voltarti dall'altra parte in ogni momento.
Niente sperimentazioni elettroniche, nessuna tendenza del momento da imitare (nemmeno l'anti folk di Devendra Banhart o Adam Green) ma la voglia di schiacciare di nuovo play sul lettore arriva non appena si spegne la ghost track, a conferma che in "Jungle Rules" la qualità c'è, che si parli di cartoline che riaccendono la memoria o si discuta sul declino della civilizzazione occidentale. Un disco che scivola come una birra scura gustata con il gomito coperto da una ragnatela appoggiato al bancone e uno sguardo indifferente e malinconico, perso nei ricordi.
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La recensione Jungle Rules di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-10-26 00:00:00
COMMENTI (2)
vista correzione, bravi e lesti
bella recensione ma c'è un misunderstanding! "Committed" è il secondo album, uscito in questi giorni... questo di cui avete scritto è "Jungle Rules", l'album di debutto: la tracklist è quella.