Dopo le esperienze nei Sunday Morning, dopo il bellissimo progetto di cover Do Not Cry For The Country Boy, dopo l'EP "Piove a Milano", dopo tutto questo, è finalmente il momento del primo album di Andrea Cola. Ed è un album che si fa notare, che non fa nulla per passare inosservato. Non è facile scriverne perché è un disco ricco, che contiene strati e riferimenti diversi tra loro e in apparente contraddizione. Metti le prime due tracce e penserai di essere dentro un brutto disco pop rock, salta alla sesta o alla decima e ti perdereai in pezzi di oltre otto minuti, prendi la quarta canzone e sarai lì ad aspettare che entri la voce di Mina. La verità è che "Blu" è un prontuario degli ultimi cinquant'anni di musica pop italiana. Si parte con una doppietta che disorienta per mancanza di mordente e sarebbe geniale se fosse stata messa lì come prova per l'ascoltatore, come test. Perché se si supera questo scoglio iniziale, si può iniziare a immergersi. E allora arrivano "Legno bianco", che suona come un Bersani stralunato, "Se io, tra voi", che sa di bianco e nero e Studio Uno e "Così lontano", battistiana fino al midollo. C'è tempo anche per due tracce già presenti nell'EP, ovvero l'ipnotica "L'isola" e "Piove a Milano", che sembra uscire direttamente da un album dell'Equipe 84, ma senza la polvere. Fino a "Prima comunione", piccolo capolavoro di scrittura e intensità. Quando il disco finisce, non hai capito granché. Sai che ci sono cose belle, che sono tante e sono diverse. Non hai compreso bene quanto ti piaccia questo album, ma sai che vuoi farlo ripartire dall'inizio per capirlo. Al secondo ascolto ti rendi conto che ormai sei dentro. E che dietro tutte le suggestioni e le fughe nel passato, inizi a intravedere la consapevolezza che "Blu" ci consegna un cantautore capace di grandi cose. Uno di quelli che è meglio tenersi stretti.
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