Nel 1970 un mio caro parente fece un viaggio, finanziato dal Partito Comunista, in Unione Sovietica. Prima di quella data aveva sempre sofferto di terribili dolori intestinali. Tornò dal viaggio con un enorme barattolo di pillole, magari innocue, un placebo vero e proprio, che misero fine una volta per tutte ai suoi mali.
Le ideologie, per qualcuno grandi tumori del Novecento, hanno rappresentato il pane quotidiano dei nostri padri, dei nostri nonni. Rispecchiarsi in un'idea comune ha fatto sì che determinati valori scavalcassero la semplice soglia della politica, formando e plasmando la cultura e le menti dei nostri antenati, e costituendo così la cosiddetta modernità. Ma ora la modernità è finita.
Dalla nebbia di Ferrara, la stessa che ha dato i natali a Le Luci della Centrale Elettrica, emerge un suonatore nostalgico e disilluso, che ha reso l'argomento "modernità" il centro della sua opera prima. Il promo cd di Carlo Rosa e Le Spine si presenta in custodia povera, senza grafica e con una "semplice" foto del muro di Berlino incollata in copertina. Il disco si apre all'alba di quel 9 Novembre 1989, che ha segnato la caduta di un mondo, di quel solido sistema di idee che per decenni ha retto incontrastato il modo di relazionarsi degli esseri umani. Non ci sono più le persone "come mio padre con la riga da una parte, un ideale nella testa e un progetto bene in vista che si chiama modernità" e chi non lo sa, vuol dire che "avrà massimo vent'anni e tutto un mondo da ricostruire". Chi meglio di questa generazione sa com'è difficile orientarsi, com'è profondo il trauma che lo scorso secolo si è lasciato dietro? Ma non c'è solo nostalgia nei cinque brani dell'Ep. C'è una riflessione attenta alle urgenze della contemporaneità, c'è la sconfitta delle persone e la conseguente vittoria della gente ("Io non mi sento come la gente, quella che normalmente si dice sana di mente"), il disordine sentimentale che non regge la sfida con i latin lovers della modernità ("costruire un amore è una questione di ordine sociale").
Musicalmente asciutto, intimo, eppure universale, "La modernià è finita" è un disco che abbraccia la melodia con fare più "classico" rispetto al conterraneo Vasco Brondi, più vicino all'ultimo Alessandro Fiori. Certo qui non c'è nessun nome famoso a fare da padirino, non c'è Giorgio Canali o Enrico Gabrielli che ci mettono lo zampino (sarebbero perfetti per produrre un disco del genere) ma gli arrangiamenti di fiati o chitarre elettriche fanno ugualmente la loro figura. "La modernità è finita" è un disco da reperire e ascoltare assolutamente, nell'attesa e nella speranza che l'opera completa confermi queste importanti premesse.
---
La recensione La modernità è finita di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-05-04 00:00:00
COMMENTI