Secoli fa, il diavolo costruì un ponte e pretese in sacrificio il primo uomo che l'avesse attraversato. San Cadoco lo ingannò: gli offrì un gatto nero. Così, mentre i musulmani lasciavano entrare i gatti nelle moschee considerandoli animali cari ad Allah (lo fanno tuttora), il Papa a Roma nel 1200 ne ordinò un feroce sterminio, perché vicini a Satana, mostri maledetti da bruciare vivi o gettare dai campanili delle chiese. Soprattutto quelli neri. Il diavolo punì San Cadoco, rubandogli l'Eneide, con cui insegnava latino. Santa Gilda lo aiutò: grazie a lei il santo ritrovò il libro, e anche la fede.
Gli Ardecore tornano con un disco doppio. La prima parte è dedicata tutta a San Cadoco, con brani originali (tranne "Tentazione", che è del 1936). La seconda si chiama "Contemplazione di Gilda e Cadoco sul mistero dell'origine", ed è il lato B di quella dicotomia con cui hanno scelto di pervadere il loro nuovo lavoro.
Il primo disco è più aggressivo, vario e ruffiano, con dentro tutto ciò che una super band come loro può produrre, musicalmente. Prog, anni 70, rock inquieto e a tratti delirante alla Tom Waits, ma sempre con una carica di fondo irresistibile. Sembra di inseguire il gatto nero che finirà, prima o poi, a morire di bastonate sul ciglio di una strada. Si sente l'ansia, la paura. In un tripudio di cembali, chitarre e suoni di altri tempi, e con i testi di Giampaolo Felici, dalla voce sporca di blues, il gatto scappa e si ferma ogni tanto a farsi accarezzare, sornione. In un brano come "Santa Gilda" si sintetizza la storia dei due santi, con un coro caldo intorno ad avvolgere tutto, mentre continuano, nelle altre tracce, a susseguirsi cavalcate hardcore. "Vendesi pastiglia, lo dice un tipo sceso giù in città", canta Felici in "Gronge Meraviglia", disegnando con tocchi orientali mercanti di pozioni che curano ogni male, del corpo e del cuore, e uomini sempre bisognosi di risolvere tutto e subito. Poi arrivano i brividi, con "Per quella lei ci muore". Un pezzo che è destinato a scatenare platee, pazzesco nel ritmo, nella storia (tragica) che racconta, che sbatte in faccia temi come la gelosia e l'amore, saffico e no, e la potenza delle idee. E' anche la prova che nella prima parte di questo concept album non c'è passato, ma presente. Suona la sveglia: qui non si parla di streghe e vecchi papi, di uomini possessivi e di storie antiche. Ci sono messaggi al cellulare, si parla dell'oggi. Provate, allora, ad immaginare al posto del gatto i perseguitati di oggi.
Il secondo cd è più lunare, tragico, introspettivo al punto di trasudare povertà e disperazione. Vogliamo pensare a Nick Drake? Ben venga, ma questi sì che sono stornelli romani, quasi tutti. Ecco spiegata la contrapposizione dei due dischi: l'uomo e la donna, il sole e la luna, la ragione e la follia. E' soprattutto per dare un vero senso a questa seconda parte che ha fatto il suo ingresso nel gruppo una voce femminile, Sara Dietrich. Un talento prezioso, che dà lustro a tutto il disco, lo fa luccicare di speranza anche nelle scene più drammatiche. Quando, infatti, dietro alla trasteverina che canta "Te possino dà tante coltellate" (di Gabriella Ferri), spuntano signore anziane sdentate, imbruttite dalla povertà, minacciose all'ombra di una luna e di percussioni che dettano una marcia funebre. Quando appaiono impiccati e coltelli sporchi di sangue, la voce di Sara, sempre perfetta, diventa un elemento di purificazione. Raggiungendo il massimo con l'aria tratta dalla Tosca "Io de' sospiri" e con "Biondi capelli", che è in realtà "La domenica andando alla messa" di Gigliola Cinquetti.
Il gatto che inseguivamo prima, però, è morto. E in questa seconda parte c'è la scia che si lascia dietro, fatta di disperazione e ninne nanne inquietanti, sullo sfondo di una Roma maledetta. La speranza, chissà che fine ha fatto. Ma questo spetta a voi cercarlo.
Un lavoro che al primo ascolto difficilmente strappa un sì. E' complesso, profondo, lontano anni luce dalla maggior parte delle produzioni (indipendenti e no) che ci girano normalmente tra le mani. C'è un lavoro di sperimentazione musicale, alla base, in perfetto stile Ardecore. Un impegno semantico, nei testi, una spiritualità che pervade tutto e che passa da citazioni del profeta Zaccaria e da chissà quante altre frasi più o meno sacre. Un disco di uno spessore che ha bisogno di più passaggi nel lettore e che, ricordiamolo, comprende anche ritorni come quello di Geoff Farina dei Karate e di Massimo Pupillo degli Zu. Insieme al contributo (in un italiano un po' biascicato, si deve dire, in "La povera Cecilia") di David Tibet dei Current 93.
Sarà il disco che vi girerà sempre intorno nei prossimi mesi. Una bella scossa, che scuoterà le orecchie e l'anima.
---
La recensione San Cadoco di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-02-07 00:00:00
COMMENTI (5)
bah, a me non piacciono.
beh, complimenti. mi toccherà comprarlo, lo continuo ad ascoltare e in più mi continuo a domandare come potrà essere il secondo cd... [:
:?
Eh:)
Hanno preferito mettere un disco solo. Questo è il primo volume
Ma non era doppio?