"Forgiveness Party", primo EP dei milanesi I've Killed The Cat, ha dei grandi pregi. E un difetto di fondo. Le cinque canzoni che compongono questo mini album – che supera di poco il quarto d'ora – scorrono fluide e piacevoli, e lasciano trasparire tutta la maestria del gruppo, così come il buon livello di interplay raggiunto dai suoi membri. Si capisce che l'opera è stata affrontata con grande serietà e professionalità da parte della band, ricca com'è di arrangiamenti puliti ed efficaci, eseguiti molto abilmente in fase di registrazione.
Il limite di tutto questo lavoro, però, è che i pezzi non aggiungono molto al già suonato/già sentito: si tratta più di una specie di "saggio di fine anno", in cui il quartetto esibisce tutte le sue potenzialità musicali e mostra di aver sapientemente "digerito" una serie di influenze che vanno da Lou Reed ai Cure, dagli Stooges ai Blur, e non di un tentativo di scrivere qualcosa di coraggioso o di personale. Nel concreto, sono due le canzoni che emergono per la loro maggiore personalità e che lasciano ben sperare in future evoluzioni: "Komodo", che ha un sapore fortemente anni '70, ma suona fresca ed energica grazie ad arrangiamenti particolarmente azzeccati, e "How many times must we lose our way?" – riecheggiante, nel titolo, le strofe dylaniane di "Blowing In The Wind" – che spicca con le sue sonorità new wave. Gli altri tre pezzi, invece, suonano più scontati, meno vissuti. Nota di merito per la voce del cantante Frances, che ha un timbro molto espressivo e sa padroneggiare la metrica. È lecito, dunque, attendersi buone cose da questi ragazzi, anche se (per ora) sembrano essersi esposti troppo poco per potersi sedere sugli allori della loro bravura.
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