Almeno un punto a favore del secondo album dei torinesi Baroque c'è: "Rocq" è un lavoro denso, ricco, che se ne frega di essere cool e che anzi sfoggia con fierezza riferimenti a un passato poco à la page. Il che significa, però, che quanti ritengono gli anni settanta un'epoca di pretenziosi sbrodolamenti e inutile prolissità potrebbero trovare insostenibilmente pesante la pomposità di certi arrangiamenti e di una vocalità non proprio minimalista. Al contrario, chi non disdegna le magniloquenze, chi guarda con affetto al mondo prima che arrivasse il punk, chi pensa che nella storia della musica italiana l'età dell'oro abbia coinciso con l'era del beat e del prog, probabilmente annovererà il gruppo torinese fra i più dotati astri nascenti del nostrano panorama rock. Con il loro gusto per l'hard sporcato di glam, con l'attitudine teatrale che caratterizza molti pezzi dai testi-fiume ("Mio fratello si droga"), impregnati di cabaret ("la festa dell'alloro", Karatechismo") , con i Queen maestri di arrampicate vocali e cambi di direzione linguistica e melodica ("Soup de la maison"), i Baroque potrebbero essere posti, lasciando perdere il passato lontano di cui si è già detto, come fratelli minori dei Quintorigo o cugini dei Sikitikis. La faccia barocca di Torino.
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