Questo gennaio è stato generoso. Ci ha già regalato due dei probabili dischi dell'anno. Uno è "Wow" dei Verdena, l'altro "Ecce Homo" degli Egokid. Che si configura senza dubbio come il loro capolavoro: quello che in "Minima storia curativa" era progetto e aspirazione, qui è solida realtà. Un processo di maturazione naturale, ma non scontato: non sempre nella vita "si diventa ciò che si è", come diceva quel Nietzsche che qui ispira titoli dell'album e dell'opening track.
La lunga consuetudine coi Baustelle (Bianconi ospite in "L'orso", nello scorso album; Diego Palazzo chitarrista nel tour 2010 della band toscana) può avere avuto il suo peso, anche se certo non determinante: ci vogliono le qualità e le palle per metterle a fuoco. Così "Ecce Homo" ci presenta un lotto di canzoni tutte centrate, orecchiabili, cantabili, mai banali, citazioniste fino al midollo perché il citazionismo è l'essenza del pop. C'è spazio per le canzoni che da troppo tempo Mina ("Sirene": splendida l'interpretazione del solito Diego Palazzo) e Patty Pravo non ci cantano più ("Non mi hai fatto male"), per l'omaggio agli anni 80 dei Matia Bazar con l'ospitata di Fausto Rossi ("Non si uccidono così anche i cavalli?", con quelle chitarre di Clemente e Palazzo che vengono giù dritte da "Kiss me, kiss me, kiss me" dei Cure, e le tastiere di Debenedetti che citano John Foxx e il Bowie di "Heathen"), le Scissor Sisters di "Una vita" e gli Smiths di "Universo", l'omaggio alla tradizione di una certa ironia tutta milanese, da Jannacci a Elio, di "L'uomo qualunque".
Certo: la cosa che ha fatto più sensazione, finora, è stata la cover di "Girls+Boys" dei Blur, tradotta quasi letteralmente ("Ragazze+ragazzi"). Qualcuno ha gridato alla lesa maestà. La questione, posta così, mi pare ridicola: allora non potremmo certamente coverizzare i Beatles, che invece sono la band più coverizzata al mondo. Le cose, a mio avviso, stanno diversamente. Innanzitutto, come avrete certamente sentito, il pezzo funziona ed è credibile. Il che è la cosa più importante, considerato che essere i Blur italiani è forse da sempre il sogno degli Egokid. Il punto non è che qualcuno faccia una cover dei Blur. Il punto è che stiamo qui a parlarne. Il punto è che, di fronte, a un album pieno di ottime canzoni pop come questo, il pubblico cosiddetto indie (per quel che vale questa parola, ormai) si scandalizzi, mentre il resto d'Italia, se arriva a sentirlo, lo trova una bella canzone senza (ri)conoscerne l'originale. Voglio dire: in un Paese musicalmente civile questo sarebbe un pezzo come un altro, in un disco bello come "Ecce Homo". Nessuno lo noterebbe particolarmente: "Ah, e c'è anche una cover dei Blur". Ecco, il fatto che se ne sia così parlato e se ne parli ancora dimostra come tutti siamo ancora ai tempi dei complessi beat. D'altro canto, il nostro è il Paese dove Zucchero fa successo da 20 anni con cover, sottaciute o no, di brani stranieri che nessuno (ri)conosce. Insomma: siamo dei provinciali, nel senso peggiore del termine. Indie o mainstream non importa.
Quello che c'è da dire su "Ecce Homo" è questo: "È un bel disco, pieno di ottime canzoni pop, emozionanti, mai banali ma orecchiabili e radiofoniche. Ah, e c'è anche una cover dei Blur. Bella".
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