Fin da un primo ascolto, "Ethereal Underground" si annuncia come una densa miscela di influenze rock provenienti dalla terra d'Albione, prudentemente dosate dai napoletani Starframes nelle dieci tracce che compongono l'album. L'attacco di "Origin", vicino nell'uso del piano a certe cose degli U2 o, più recentemente, dei Coldplay (chi ha detto che dovrebbero essere i nuovi U2?) dice che i ragazzi guardano al panorama musicale internazionale ma con un occhio all'indie rock nostrano, fatto avvalorato anche dall'uso di una voce inglese effettata e nasale che ricorda molto gli Yuppie Flu, giusto per fare un nome comodo.
Le carte tendono però a confondersi subito con "It moves like the world spins around", che attacca con una fisarmonica dai toni folk e poi vira verso atmosfere surf rock, e con l'incidere disco funk di "Step over" – con la sua chiusura alla Police uno dei momenti migliori del disco, con certe strizzatine d'occhio ai Beatles ("Cielo Drive") e ai Black Sabbath più introspettivi ("Dance on the greenwich meridian"). Se si aggiungono poi gli inaspettati pads stile Ottanta nel break di "La mariee etait en noir" – bel crescendo floydiano, tre brani ancora in odore di U2 come "Broody soldier", "Aurora borealis" e "What I was made for" e la chiusura lennoniana di "I'd never want you to say goodbye", si capisce che di carne al fuoco ce n'è tanta, e che c'è anche una buona dose di (legittima) ambizione (testimoniata anche dai titoli delle canzoni).
Almeno quattro canzoni davvero buone qui ci sono, quindi per la prossime mosse ci aspettiamo o una maggiore sperimentazione (nel senso di acquisizione di un tocco personale) o una spinta sull'acceleratore del pop, per poter godere di un intero album senza ritrovarsi a dover saltare da una traccia all'altra.
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La recensione Ethereal underground di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-07-25 00:00:00
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