"Wolf in the Piano" ha una parte strumentale notevole, di quelle che la maggior parte delle band dovrebbe fermarsi e prendere nota. Crea un'atmosfera e la coerenza permane per tutta la durata del disco. Senza mezzi termini, c'è del lavoro dietro e si sente, da qui la conferma: suonare non è improvvisare. Bando agli strimpellamenti quindi, e l'epopea degli Wewe prende lentamente forma. Atmosfere cupe e acustiche, contaminazioni elettroniche bandite, nelle idee del gruppo c'è evidentemente una sorta di rigida ostinazione per le controversie stilistiche. Tutto è buio - non è certo un disco leggero - e la domanda di fondo resta: la cortina di fumo che si spande su tutti i brani è una scelta precisa o il meglio che gli Wewe sanno fare?
Il cantato infatti sembra, talvolta, superfluo. L'intonazione qualche volta sparisce per lasciare spazio a uno strano borbottio che, in tutta onestà, non è troppo convincente. In ogni caso, "Wolf in the Piano" ha più aspetti belli che brutti, è un disco solido, rappresenta una realtà oscura molto anni '60 e molto poco attuale che è, tutto sommato, gradevole. A mio parere rappresenta la musica indie nel senso più letterale del termine: in-dipendente da altre band ma, al tempo stesso, anche da una tradizione cantautorale fin troppo scontata e che, mai come in questo cd, stonerebbe con il purismo acustico adottato.
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La recensione Wolf in the piano di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-09-14 00:00:00
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