"We couldn't have dream it", "non potremmo averlo sognato"..e invece sì: il sogno dei Glitterball serpeggia tra le dieci tracce del disco e prende forma dall'incontro tra l'elettronica e il rock classico, quello delle chitarre in leggero overdrive a dettare l'andamento delle teste durante lo scorrere della musica.
Un sound sbarazzino, come quello degli Arctic Monkeys dei primi due album, e fresco, grazie all'uso eclettico del synth (protagonista indiscusso dell'album), si stende su di un ritmo sostenuto, adeguandosi a tutte le curvature di una scrittura che non è certo banale ("waiting for the future that is gone"). Come in ogni sogno che si rispetti cadono le percezioni temporali e spaziali. Così lo scenario onirico fonde sonorità e ambientazioni che immergono l'orecchio di volta in volta nel glam degli anni 70 e nel synthpop degli anni 80. In uno scenario così variegato spicca la voce di Giovanni Lanese, che fa da collante tra tutti gli estremi dell'album grazie alla sua versatilità.
I Glitterball giocano a carte scoperte, avendo dalla loro un asso nella manica che si chiama evoluzione, proprio come quella che ha permesso il passo in più rispetto al loro primo lavoro omonimo (2009), più immaturo e meno complesso. La speranza è che, come in ogni partita che si rispetti, le carte vengano giocate al meglio perché c'è del talento e voglia di mettersi in discussione. Il duo di Pescara sta macinando date su date per far entrare nel suo sogno il maggior numero possibile di persone, sarebbe buona cosa quella di andare a scovarli in giro per l'Italia e lasciarsi guidare dalla loro brezza onirica. Non sarà il più bel sogno mai fatto, ma di certo non è un incubo e di questi tempi è già qualcosa.
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