Uno dei piaceri della vita, alla faccia della tendenza grandefratellesca al "sono così e dico sul momento tutto quello che penso", è imbattersi in qualcuno o qualcosa che non svela tutto subito, che ti lascia la voglia di andare più a fondo. I Polar For the Masses sono così. Fanno una musica che al primo approccio appare scorbutica e spigolosa come quella faccia che emerge dalle tenebre sulla copertina. Però basta essere appena un po' più attenti per scorgere, sotto bordate e bordoni elettrici e industrial, dietro il cantato roccioso e le intenzioni telluriche, un indiscutibile talento pop. Una vena che anima una potenziale hit come "Rust", con quel semplice, banale, irresistibile "C'mon C'mon C'mon", ma anche l'allure danzereccio di "Dismembered", la sotterranea sensualità di "Sailing Away", le armonie beat luminose, seppur ammantate di noise anni '90, di "U.T.W".
Un'ispirazione stratificata e potente, che conferma il gruppo vicentino come uno dei fenomeni dalla personalità più interessanti del panorama nostrano, e non solo: stimolati dall'ambizione di proporsi come prodotto da esportazione, fanno uscire l'album anche in Germania, Svizzera e Austria, luoghi avvezzi a certo rock massiccio, dove i nostri potrebbero fare proseliti, ahinoi, più che da queste parti.
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