Tanto tanto tempo fa, un cantante italiano che più italiano non si può cantava "viva l'Inghilterra". Passano gli anni, passano e tornano le mode, il mondo si rimpicciolisce, ma il punto è sempre lo stesso: gli inglesi lo fanno meglio. Il pop. E quindi potremmo stare qui a discutere se sia giusto che gli italiani guardino oltremanica invece invece di abbracciare la missione di portare avanti e/o innovare la gloriosa tradizione patria. Ma anche no. Perché, comunque, gli inglesi lo fanno meglio. Il pop. E quindi lasciamo perdere le sterili e stantie discussioni. Italiano, svedese o ugandese che sia, se uno vuole fare il pop è giusto e sacrosanto che si infili le sue mutande con la Union Jack e abbracci la missione di portare avanti e/o innovare la gloriosa tradizione che appartiene al mondo intero.
I Vickers decisamente non fanno parte del battaglione degli innovatori. Quando parte il riff di "They Need To Dance" il primo istinto è quello di giocare a "scopri il plagio". Stessa cosa per "Chem Dream", "These Things Come To An End" e insomma un po' per tutti i pezzi. Ma proviamo un attimo a ribaltare il punto di vista: non chiediamoci "dove l'ho già sentita?", ma "dove potrei averla sentita?" Nell'album di una qualsiasi brit band anni zero, è la risposta. Il che fa dei Vickers un gruppo derivativo? Sì. Ne fa un gruppo mediocre? No. Perché, in quel qualsiasi album di una qualsiasi brit band, queste canzoni non avrebbero sfigurato nemmeno un po'. Quindi, semplicemente, ascoltiamoli per quello che sono: una band che fa ottime canzoni indie rock, fra gli anni sessanta ("You Think I'm Playing") e l'oggi ("It's all really mad"), british con qualche inevitabile sporcatura americana ("Baby G"), fottiamocene in allegria dell'amor di patria e alziamo albionicamente indice e medio all'indirizzo di chi sta ancora a discutere e sicuramente si diverte meno di noi.
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