Infilare nelle recensioni dei dischi osservazioni da bollettini meteo e sentimentalismi da National Geographic non è proprio il massimo, siamo d'accordo. Descrivere in maniera efficace questo lavoro di Banjo Or Freakout senza scomodare immagini di ghiacci trasparenti e bianchissime luci accecanti però, è pressappoco impossibile.
Allora partiamo così: dai primi arpeggi di "105", proprio nel momento in cui delle gocce stanno cominciando a sciogliersi e a ticchettare nel tuo orecchio. O ancora nel punto in cui si apre "Go Ahead" e dei riflessi di note ti fanno chiudere gli occhi dalla troppa luce. E' una compostezza alpina, quella che affascina con un pop laconico e si fa sfuggevole perché affogata nei riverberi e negli echi. Pareti di suono che scivola liscio e addosso non ti lascia nulla, se non la meraviglia di essere passato attraverso una cascata di note, ed esserne uscito completamente asciutto.
Per chi conosce Alessio Natalizia dai suoi primi passi come solista, la novità è tutta qui: niente più elettronica impastata ed oscura, ma un pop a bassa fedeltà acquoso e distillato, canzoni che stanno in piedi da sole e che usano la testa dell'ascoltatore come cassa di risonanza e generatore infinito di immagini (un po' come fa Bradford Cox nell'ultimo disco dei Deerhunter, quando prende la Motown e la risucchia velocemente fino a comprimerla nel suono dei fine duemila). Per tutti gli altri, invece, c'è un disco che ha in dote dei ritornelli messi lì a girare in testa come una giostra, assieme ad un'elettronica discreta ed in sordina, punteggiata da un falsetto timido che quasi accenna le parole, le snocciola arpeggiate e si tira subito via. Un nascondino di sensazioni che può tediare o al contrario divertire: scegliete voi.
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