Il nuovo album di Edo raccoglie i pezzi già apparsi in "Naso a tramezzino Ep" più cinque brani nuovi. Il tutto non modifica di una virgola il giudizio sul cantautore patavino trapiantato a Milano: un Jannacci universitario del 2011, che compone in acustico sulla falsariga del grunge anni 90, con la lezione, voluta o inconsapevole che sia, della miglior Alanis Morissette che spicca. Universitario, si diceva. E infatti il contesto in cui si muovono queste nove piccole storie è quella della vita universitaria, una specie di limbo estremo, maturo e consapevole del suo essere effimero, tra l'adolescenza e l'incombere degli impegni della vita adulta sul serio.
Nove quadretti gradevoli, dal punto di vista testuale e musicale, talora arguti, che lasciano intravedere una malinconia di fondo a cui l'ironia è antidoto esistenziale. Mancano due cose: la capacità di pervenire a una dimensione più universale (far riconoscere nelle storie qualsiasi ascoltatore) e la zampata vincente, che trasforma un brano piacevole e ben fatto in un tormentone che non ti si schioda più dalla testa. Edo l'aveva anche scritto, qualche anno fa: si chiamava "Amsterdam" ed era un vero e proprio anthem generazionale, passato inosservato come di solito succede agli outsider. Ora Edo è in un altro mood, e difficilmente scriverebbe una nuova "Amsterdam". Però se ne sente la nostalgia.
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