Avvolgere l'ascoltatore con lunghi tessuti post-rock. I Laradura lo sanno fare bene, ma non sempre riescono a prendere alle viscere.
Lara, dura, e la radura. Che si siede, osserva e, a guardarsi intorno, non vede più alberi. Perché c'è crisi, signori, ormai lo sanno anche gli alberi, anche loro che quando arriva primavera ormai le foglie le tirano fuori a fatica. Eppure si fanno verdi, sbocciano, fioriscono. Lo fanno, e ogni anno c'è da restarne secchi a grattarsi la testa per capire il coraggio che ci mettono. Stesso coraggio e stessa introspezione che ci mettono questi quattro ragazzi del sud, i Laradura, approdati a Bologna per mettere in musica tutta l'insofferenza e i graffi di una generazione.
Quello che ne esce è "Senza fine", disco autoprodotto dopo un anno di lavoro e registrato in presa diretta, accorgimento che dà valore all'intero album, mentre fuori nevicava copiosamente. Che sia poi stato significativo per la forma assunta? Senza fine del resto è una bolla calda e vibrante di onestà verso se stessi, la propria nazione, generazione, con i propri fantasmi interiori, dentro un mondo ovattato e monocromatico.
I complici in tutto ciò sono il discreto uso di una voce genuina, alle volte decisamente fin troppo, da parte di Luca Li Voti, capace di esplorare anche le vie del reading musicale in "Senza fine", titletrack che scorre come un vero e proprio monologo sull'essere, sulla sua autocelebrazione e sui suoi futuri possibili.
Notevole invece l'impiego degli arpeggi - alla Marta sui Tubi tanto per capirci, no? - Non solo in "Arpeggino", ma sopratutto nel brano di apertura "Andate in pace", in adeguatissima collocazione all'interno della tracklist, e poi nei due pezzi subito successivi, dove chitarre, batteria e percussioni sanno bene intrecciarsi insieme e nella trama musicale, in un amalgama che sa quando e a chi lasciare spazio, a turno. Forse è proprio questo il trucco per una composizione melodica degna di nota, tuttavia non in grado di evitare l'accostamento ai Massimo Volume in troppi passaggi. Testi che hanno qualcosa da dire e lo dicono con personalità innegabile, buona originalità stilistica, addirittura con omaggi all'eterea visionarietà di Federico Garcia Lorca, in "Notte verde". Dove la poetica sospesa e violacea di grilli, caverne e psichedelia, sa ammaliare e incantare profondamente chi ascolta. A chiudere il disco, ossimoricamente, una rassicurazione parecchio aggressiva, che alla Offlaga Disco Pax ci urla nelle orecchie: "Andrà tutto bene".
Avvolgere, con parole stese su lunghi e psichedelici tessuti musicali post rock, è in buona sostanza ciò che fanno i Laradura, e lo fanno ottimamente: manca qualcosa che si chiama fattore di coinvolgimento, però. Prendere alle viscere chi ascolta, esattamente come nelle parti recitate, quando la magia avviene, ma sempre troppo sporadicamente in relazione a tutto il lavoro svolto, e tenersele ben strette dall'inizio alla fine. Questa è una bella sfida, ardua per chi ci si vuole cimentare. "Senza fine" è un'ottima prova. Andrà tutto bene.
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La recensione Senza fine di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-04-03 00:00:00
COMMENTI (1)
disco molto bello!