Non si tratta dell'ennesimo libro pomposo di Wilbur Smith e neanche di una recente enciclica di Benedetto XVI. "Il destino e la speranza" è il nuovo album degli Atman. Non vi inganni l'afflato ecumenico del titolo perché qui siamo al cospetto di uno dei più viscerali minimalismi alt-rock d'italica fattura degli ultimi tempi.
Dodici brani per tentare di afferrare con l'avambraccio scoperto la duplice essenza dell'anima, spirituale e musicale, placidamente adagiata nelle profondità del più spinoso degli abissi. Se la perdita di una chitarra in formazione penalizza la consueta esplosività della band lucchese dall'altro canalizza gli arrangiamenti verso taglienti derive punk e saturazioni soft-core che rinnegano la sistematica ricerca (di pixiesiana memoria) del ritornello dentro al rumore, da sempre riconoscibile marchio di fabbrica del combo toscano. A questo giro il miele camuffato da acido delle precedenti produzioni cede il posto alla sola urgenza comunicativa, istantaneamente pompata negli amplificatori senza ragionieristiche ruffianerie. Un disco musicalmente maturo – figlio dell'improvvisazione – parzialmente penalizzato dall'opprimente nichilismo pseudo-adolescenziale delle liriche.
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