No samplers, no synths, no keyboards: l'essenza di questo lavoro in una frase, chiara e puntuale, che dà subito l'idea di un progetto, una fatica, minuzie e tecnica, penso dunque suono. E si sente, brano dopo brano, si respira una cura quasi devota, non so spiegare, una passione spontanea, accostamenti e scelte dettate da lunghi ripensamenti, e tutto gira intorno a Riccardo Prencipe che scrive musica e testi impegnandosi poi a cercare chi li renderà vivi e vibranti. Effettivamente è curioso ascoltare in un album cinque voci differenti che si alternano tra i pezzi, chi canta in inglese, chi in italiano, chi è assolutamente dreampop (Annalisa Madonna in "Paestum"), chi sposa il folk nordeuropeo all'eleganza nostrana che ricorda Cristina Donà (Floriana Cangiano), chi dà versi a un tramonto coi colori nel timbro e tratteggia desideri barocchi (Caterina Pontrandolfo). E diventa quasi un gioco tentare di riconoscere chi interpreta cosa.
Le voci restano comunque la luce intensa che brilla su tappeti musicali leggerissimi e strumenti che galleggiano senza fili, gusto morbido di note incorniciate con precisione estrema, quasi da toccare, ognuna fisicamente presente per dire non sono qui a caso; e poi una cover di "Jigsaw falling into place" dei Radiohead che inizialmente pare identica, ma poi piano acquista una sua indipendenza, grazie soprattutto alla voce femminile che la sospinge, ma che resta a mio avviso una prova riuscita a metà, sia per l'inevitabile confronto con una delle band migliori al mondo, sia per la scelta del brano, molto noto e dunque difficile da riproporre.
Vario, medievale, affreschi e guglie come pure una sorta di cantautorato gotico, i campi assolati come le cripte ombrose e terrifiche, la levità della campagna estiva col pensiero all'annoso inverno, un imprescindibile violino e una puntatina nel pop ("The man of wood"): un lavoro ben fatto anche se privo di quel calore emotivo che io amo, una tendenza a concentrarsi sull'esecuzione piuttosto che cercare un contatto, ben fatto ma sostanzialmente freddo, musica per autocompiacersi, per innamorarsi di sé piuttosto che far innamorare altri tra loro, e io ho voglia di innamorarmi ancora e ancora.
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La recensione A hail of bitter almonds di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-08-30 00:00:00
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