Recensione da "Il Mucchio Selvaggio" n.82, novembre 1984
La realtà "nuovo rock" italiana, inutile negarlo, assume sempre maggiore consistenza, cominciando gradualmente a uscire dal totale underground per divenire fenomeno da tenere sotto attenta osservazione anche da parte dei media più influenti e "conservatori". Dei positivi sviluppi della questione, i fiorentini Diaframma hanno certo - come altre band nostrane esistenti da lungo tempo - una parte di merito: anche se indubbiamente favoriti dalla ricettività dell'audience toscana, i quattro hanno avuto la costanza di proseguire per la loro strada anche in periodi di "vacche magre", costituendo in pratica un vero punto di riferimento per chiunque, dal Brennero a Lampedusa, avesse intenzione di lasciarsi trasportare dalla nuova ondata.
Nati nel 1981 e cresciuti tra il fantasma di Ian Curtis, il mito Bauhaus e l'influenza oppressiva di un'Inghilterra liricamente cupa, i Diaframma giungono oggi al primo album, logica prosecuzione del discorso sonoro intrapreso con il singolo "Pioggia" e proseguito, fra partecipazioni a varie compilation, con il mini-LP "Altrove" dello scorso anno: l'intento, naturalmente, è emergere, senza però scendere a compromessi con quelle che sono e devono essere le direttive di un sound apparentemente introverso ma squisitamente ricco di sentimento ed espressività.
Dimenticato Nicola Vannini (cantante dei precedenti lavori) a favore del ben più dotato Miro Sassolini, guidati in studio con largo spiegamento di mezzi tecnici ed economici dall'esperto Ernesto De Pascale e determinati più che mai ad imporsi all'attenzione del pubblico anche internazionale, i Diaframma hanno sintetizzato nelle otto tracce di questo "Siberia" (edito dalla neonata I.R.A.) tutta la loro carica emotiva inquieta e conturbante, sapientemente trasposta in parole e musica da quel Federico Fiumani su cui la qualifica di "artista" (nell'accezione più genuina del termine) aderisce meravigliosamente come una seconda pelle. Difficile, infatti, non restare rapiti dalle intense suggestioni evocate da episodi quali "Siberia", "Amsterdam", "Dilorenzo" e soprattutto "Neogrigio", che tentano di risolvere senza attriti il contrasto eterno fra luce e oscurità attraverso il fluire leggiadro o decisamente graffiante della chitarra, il pulsare della sezione ritmica (Leandro e Gianni Cicchi, rispettivamente basso e batteria) e l'elevarsi potente e solenne di un canto per nulla sacrificato dai testi in Italiano. I Diaframma non sfuggono, né sembrano volerlo fare, dalle loro evidenti ispirazioni: cercano di usarle come basi per costruire un linguaggio poetico, personale ma non necessariamente rivoluzionario, con il quale rivelare loro stessi, le loro passioni e i loro incubi che, in fondo, sono anche i nostri; conta poco, a questo punto, che la verve compositiva di Federico sia forse un po' monocorde, limitando in tal modo le possibilità vocali di Miro e costringendo tutto l'ensemble in un cliché abbastanza malinconico (che non può essere l'unico adatto a descriverne compiutamente la complessa interiorità), giacché i quattro sapranno sicuramente evolvere il proprio discorso quando la loro unica preoccupazione inerente alla band sarà quella di creare.
"Siberia" è il primo piccolo ma grande passo per uscire all'aperto, sperando - anzi, essendo convinti - di non incontrare "solo ghiaccio e silenzio".
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La recensione Siberia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 1999-05-16 00:00:00
COMMENTI (2)
avevo 17 anni
Sbucato fuori dall'ingenua consapevolezza di quattro ventenni capaci di incarnare la nuova onda musicale italiana, poco prima che gli anni '80 si svelassero in tutta la loro forza annichilente ed opprimente, Siberia si presenta oggi come un ascolto imprescindibile.