Dopo l'abbuffata combat dei '90 e dei primi duemila, il folk italiano è una città piena di macerie, in cui gli spazi per emergere sono pochi e soffocati da ciò che rimane di quel combat. E quel che rimane non è cosa da poco, visto che continua a riempire locali e piazze, con impressionante regolarità.
Non è facile quindi provare a imporsi in quel genere. O lo si ribalta alle radici con violenza (Il Pan del Diavolo, fin dal primo ep), oppure si prova a fare una specie di gimcana tra quei detriti che bloccano la strada. Un percorso difficile, perché pieno di scelte e di deviazioni da prendere. Un percorso, però, che può dare ottimi risultati. Grazie Mario ne è la dimostrazione.
La loro idea di folk è solidissima. Da una parte la canzone popolare, citata direttamente nel primo pezzo e in altri passaggi, ma la cui eredità è sempre presente in modo strisciante; dall'altra un'elettronica timida e quasi spaventata di apparire troppo invadente (vi ricordate Fiamma Fumana? Ecco, siamo da tutt'altra parte); infine un folk cantautorale che prende ispirazione dai pezzi lenti e d'atmosfera della Bandabardò, lasciando però a Erriquez e soci tutta l'impalcatura retorico-freak degli ultimi album.
E la retorica è un elemento fondamentale. Fondamentale perché assente: grazie a questa scelta, Grazie Mario riescono a inserire tematiche sociali e impegnate nel disco, senza che diventino pesanti e senza nessun intento pedagogico. Così, da questo calderone, escono sei buone canzoni e un mezzo capolavoro. È
Da questo calderone i Grazie Mario fanno emergere sei buone canzoni e un mezzo capolavoro. È "Condizioni avverse": ascoltatela, è una boccata di ossigeno.
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