Racconti, parole, disegni, canzoni. Soprattutto canzoni. In un progetto che nel secolo scorso i nostri (ehm…) nonni avrebbero definito “multimediale”, Giuseppe Righini ha provato a raggruppare musica, letteratura e colori, un insieme che prende il nome di “In apnea”, ovvero un libro e un cd di storie di varia umanità con un minimo comun denominatore: qui dentro tutto scorre, come l’acqua tra i ciottoli di un fiume. Intendiamoci sin da subito: l’ascolto di queste dodici tracce non è per nulla assimilabile a qualsiasi palla new age che opprime il nostro pianeta, e poi guai a definire la seconda opera del cantautore romagnolo bella ma poco intrigante, come se si parlasse di qualcosa o qualcuno che non riesce in nessun modo a coniugare il verbo osare e i suoi derivati. No, in realtà tra questi solchi di tranquillo c’è ben poco, in compenso ecco un bel tot di immediatezza e di sonorità se non disturbanti almeno destinate a regalare qualche sano scossone. Regali infiocchettati tra le righe di un pop con non poche sfumature elettroniche, figlie di Franco Battiato ma anche di Lucio Battisti o di Jeff Buckley (gli urli di “Satellite” danno l’idea), di una new wave sia pur non troppo aggressiva (la title track, per esempio), con la chitarra vagamente frippiana che entra ed esce come e quando vuole. Testi ben curati, a volte poetici (si parla anche del semidio Arthur Rimbaud, e non è certo un caso) se non intimi (“E mio padre se ne vola via”), in almeno un caso persino inutili (la spoken word “Kreuzberg sonata”). Conclusioni: il ragazzo si farà, basta dargli credito. Con la speranza che le cose da dire nel futuro prossimo siano ancora tante e ispirate, possibilmente da spiegare prendendo a prestito la stessa trasversalità uscita fuori da un bel disco come “In apnea”.
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