Il nome è di certo altisonante, e benché relegati nell’underground, Le Forbici di Manitù godono infatti di una relativa fama tra i cultori della musica di ricerca italiana. Attivo da più di un decennio questo progetto vede in prima linea Massimo Pavarini e il fantomatico Manitù Rossi nell’elaborazione di un genere che solo sommariamente può essere definito come ‘industriale’, mostrando evoluzioni sonore a cavallo tra l’ambient techno e il camerismo acustico. La loro attività è sempre stata prolifica e i nostri vantano diverse pubblicazioni in cd e cassetta, nonché la collaborazione in pianta stabile di Enrico Marani (già nei Duozero) e Vittore Baroni, personaggio quest’ultimo che non necessita ulteriori presentazioni.
“Infanzia di M.” è un concept-album strumentale registrato nel lontano 1989 ma pubblicato solo oggi, forse in osservanza alla teoria dell’oscurità professata dai Residents. Il senso del disco si palesa in un’autobiografia presente all’interno del libretto con la quale Manitù Rossi ci narra i fatti più significativi che hanno segnato la sua infanzia e la sua formazione intellettuale, avvenuta nel bel mezzo della provincia reggiana. Il testo è divertente, ma è piuttosto slegato dalla musica che sembra procedere su percorsi autonomi.
La contaminazione è costante, anche se non sempre equilibrata. Sono soprattutto gli inserti di musica classica ad appesantire brani che già di per sé mostrano una certa ridondanza (vedi “Il plusvalore e l’assoluto”). Quando l’alchimia riesce (ad esempio in “Sette casse d’ossa”) si possono apprezzare buoni episodi di un’elettronica resa ancor più significativa dal fatto di essere stata concepita dieci anni or sono, quindi in netto anticipo sui tempi. Purtroppo adesso è un po’ in ritardo e viene da chiedersi se la caratteristica dei grandi sia quella di essere sempre a sfasati rispetto al proprio tempo.
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La recensione Infanzia di M. di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2001-11-29 00:00:00
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