E la domanda è: Allevi colpisce ancora?
L'idea di raccontare storie dai titoli poetici con il solo ausilio degli strumenti musicali non è certo nuova. Questo solo per essere stracciapalle fino in fondo, da subito. Anche la lunghezza delle tracce spaventa. Ho sempre pensato che, ad eccezione della musica classica, i brani esclusivamente strumentali dovrebbero durare un massimo di 3 minuti. In questo caso si va da un minimo di 4 minuti e 32 ad un massimo di 6. Il ragionamento di cui sopra qui funziona solo a metà.
"Waterloo", il pezzo iniziale, ha una bellissima apertura rock e un bellissimo intermezzo di violini. Non avevo mai pensato alla battaglia di Waterloo con questo alone di romanticismo tutto intorno, e neanche i soldati secondo me, però c'è un incalzare deciso che trascina l'ascoltatore (novello Napoleone?) e lo fa sentire importante al punto giusto. "Thai" sicuramente porta sicuramente con sé un'atmosfera più soft. Sebbene di per sé di orientale non ci sia nulla, gli En Plein Air riproducono ciò che definiremmo orientale attraverso i loro strumenti. Questo album è un po' tutto così. Gli strumenti sono convenzionali (violino, chitarra, basso, synth e pianoforte) e cercano di colpire attraverso ritmi e combinazioni diverse. Ma quanto diverse?
Il problema di questo album non è né la lunghezza dei brani, né l'incapacità di suonare. Il problema sembra essere che, a un certo punto, sono mancate un po' le idee a sostenere un'opera così ricca. Il continuo alternarsi di grinta rock e spirito malinconico dopo poche canzoni già non basta più, figuriamoci dopo sette pezzi che gravitano tutti intorno allo stesso livello di drammaticità. Sarà banale dirlo, ma è vera quella frase che dice: il cioccolato sarà la cosa più buona del mondo, ma a furia di cioccolato non se ne può più. Ciò che ancora manca agli En Plein Air è il colpo di scena, il suono, qualcosa che non ti aspetti.
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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-07-01 00:00:00
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